Il lettore si domanderà come sia mai possibile pensare di vivere una vita in differita se il qui ed ora è tempo che scorre e mentre scrivo è già passato e vissuto.
Ebbene, rileggendo gli scritti di Freud, a colui il quale va il merito, come ben sappiamo, della scoperta della psicoanalisi, occorre dare il merito anche del concetto di “posteriorità” riferito al trauma.
Ma andiamo per gradi. Benché la teoria freudiana abbia riposato per anni sulla sessualità come tema centrale e spiegazione inconfutabile di disagio fisico e psichico di qualsiasi soggetto, nel tempo si è andati verso epistemologie dove la sessualità, per quanto centrale in alcune circostanze, non può essere considerata come esclusiva fonte del trauma, né tantomeno la maturazione sessuale del soggetto possa esserne considerata la spiegazione. Una forte discordanza emerge nel considerare il trauma stesso come evento esterno, unico e puntuale anziché un processo scandito da tempi.
Il soggetto mente a se stesso per difendersi dal dolore.
Per Freud, il trauma consisteva in un atto sessuale perpetrato dall’adulto ai danni di un bambino. Quest’ultimo, non sufficientemente maturo non può comprendere natura e significato dell’evento accadutogli ma lo memorizza tuttavia senza dargli una spiegazione. Con il tempo e con la sua maturazione sessuale e giungendo al periodo della pubertà, egli si affaccerà all’universo della sessualità recuperando quell’antica traccia mnestica per darle finalmente significato.
Ecco quindi che l’esperienza richiamata alla memoria e investita di significato, impatta sulla sfera emotiva e, poiché codificata come dolorosa, investe il soggetto di un carico emozionale negativo. Solamente in un secondo tempo, il bambino ormai adulto associa all’evento emozioni negative che non poterono essergli associate all’epoca per sua immaturità. Come contrastare il dolore? Egli risponde in difesa. Rimuove l’evento traumatico attivando un percorso alternativo. Dirige quindi il suo pensiero verso un altro ricordo meno doloroso e associa ad esso un carico emotivo più sopportabile.
Il tempo dell’attesa.
Quanto appena scritto lascia al lettore la possibilità di saggiare come il nostro pensiero sia in effetti un pensiero “rallentato” rispetto ai ritmi del soggetto e necessita di tempo e di lavoro perlopiù inconscio. Certo il nostro pensiero concepito in tal modo non può quindi nell’immediatezza confezionare un prodotto finito. Siamo sempre un passo avanti e quando “capiamo” è già passato.
A noi tutto sembra immediato, la nostra attività mentale appare perfettamente sincronizzata con l’esperienza nel qui ed ora. E invece no. Alla diretta preferiamo la differita e non è certo una questione di scelta. È una questione di tempi, di funzionamento mentale, di significazione e risignificazione delle nostre esperienze che per quanto a noi sembrino in real-time sono invece già passate quando ce ne accorgiamo. Il bambino abusato di Freud diventa adulto consapevole. Sono passati anni e nel frattempo è cresciuto e ha fatto esperienze.
Non abbiamo nulla di diverso dal bambino di Freud nell’attribuire significati alle nostre esperienze. All’improvviso ricordiamo un fatto passato come se non ci avessimo mai pensato prima. In alternativa, ci potrebbe sembrare di vederlo sotto un’ottica diversa quando per lungo tempo invece lo avevamo interpretato allo stesso modo. Perché accade? Accade perché il nostro pensiero scorre, si arricchisce di vissuti, di esperienze e si plasma mano a mano che il tempo passa. Acquisiamo consapevolezza e se oggi attribuiamo un significato ad un nostro vissuto, non vuol dire che domani sarà lo stesso. Domani la nostra esperienza verrà ricordata alla luce di ciò che nel frattempo abbiamo appreso. La staticità non appartiene al nostro pensiero. ciò che lo caratterizza è la fluidità. Immaginate un fiume che scorre, e l’acqua che scorre davanti a noi. Il tempo di focalizzare l’attenzione e quell’acqua è già a metri di distanza.
C’è dell’altro che necessita di chiarezza.
Riagganciandomi al concetto di trauma è importante sottolineare quanto poco aderente alla teoria dei tempi moderni sia l’idea di un trauma puntuale, inglobato in un unico evento ben definibile e narrabile a vantaggio invece di una concezione relazionale del trauma. In quest’ottica infatti, il concetto di trauma lascia spazio al concetto di stili traumatici e contesti maladattivi nutriti da modelli di interazione disfunzionali e ricorrenti.
Non parliamo di trauma ma di traumi lungo un continuum di esperienze di vita caratterizzate da stili relazionali disfunzionali e ripetitivi. Il carattere di ripetitività affonda le sue radici nell’apprendimento che inizia per l’uomo dal suo concepimento e termina con la morte.
Disfunzionali e ripetitivi non vuol dire invariabili.
Ed è in questo contesto che l’intervento terapeutico si affaccia. Il cambiamento non ha età, non ha sesso, non ha tempo. Il cambiamento è motivazione e volontà di mettersi in gioco con la consapevolezza che costa fatica e che si potrebbe essere tentati di non proseguire. Dare significati nuovi a esperienze passate non è cosa facile. Si fa strada la delusione, il pensare di non aver capito nulla, di aver sbagliato per molto tempo e di non sentirsi adeguati. Il tempo fa il suo e d are un nome a ciò che ha dato sofferenza, interpretarlo e spiegarlo alla luce di ciò che si è oggi è il traguardo da raggiungere.
Da disfunzionale e maladattivo il nostro stile relazionale ne esce ristrutturato.
Da sofferenza si passa a consapevolezza.