di Fabrizio Mignacca, Psicologo, Psicoterapeuta, Criminologo
Premessa: il termine “Normale”- “Normalità” viene usato in senso statistico relativamente alla frequenza di un comportamento all’interno di una ipotetica curva comportamentale Gaussiana, ovvero in quello che in altre materie viene definito come consuetudine.
Partiamo di nuovo dalla definizione del dizionario Inglese Collins, che definisce il mass murder: “The deliberate illegal killing of a large number of people by a person or an organization”.
Nella definizione non può sfuggire il termine “organization”. A cosa si riferisce?
Dall’11 settembre 2001 abbiamo assistito ad una modifica sostanziale del termine stragismo che include anche i fenomeni di omicidio di massa e per traslato anche quella di mass murdering.
L’accento viene posto sul concetto di terrore che provoca un’azione di strage di massa e quindi, quasi fosse entrato nell’immaginario della cultura occidentale, il mass murder è stato incluso nel terrorismo.
Molto spesso infatti, la ridefinizione di un concetto prende la sua forma dal risultato che provoca. Il mass murder colpisce nella folla, colpisce la folla quindi provoca un senso di insicurezza proprio come fa il terrorista. Eppure questa inclusione del fenomeno omicida di massa nel “territorio concettuale del terrorismo” è puramente mass mediatica o ha un riscontro oggettivo e ragioni comuni?
Prendiamo in oggetto il fenomeno del terrorismo, come si è evoluto nel corso degli ultimi anni in relazione a quelle che erano le definizioni storiche, perché sembrano essere presenti delle analogie simili al fenomeno del mass murder soprattutto in termini di spinta compulsiva compensatoria.
Secondo l’enciclopedia Trecani il terrorismo è “L’uso di violenza illegittima, finalizzata a incutere terrore nei membri di una collettività organizzata e a destabilizzarne o restaurarne l’ordine, mediante azioni quali attentati, rapimenti, dirottamenti di aerei e simili.”(www.treccani.it)
Da un punto di vista giuridico in base alle convenzioni:
“in materia emerge un modello normativo a cui deve conformarsi la legislazione degli Stati parti, incentrato sui seguenti principi: a) obbligo di prevedere come crimini negli ordinamenti statali le fattispecie contemplate nei singoli strumenti internazionali, con la previsione di pene severe; b) affermazione del principio aut dedere aut judicare (ossia l’obbligo dello Stato sul cui territorio si trova il sospetto terrorista di estradarlo verso lo Stato richiedente o, altrimenti, di esercitare l’azione penale nei suoi confronti), corredato dalle norme sulla estradabilità dell’accusato, nonostante la natura politica del reato, e dalla previsione della necessaria competenza giurisdizionale penale; c) l’introduzione nell’ordinamento nazionale di disposizioni sull’assistenza giudiziale e la prevenzione del terrorismo internazionale.”(www.trecani.it)
In fine nel Codice Penale Italiano :“l’art. 270 bis c.p. prevede il delitto di associazioni con finalità di t. internazionale in base al quale chiunque promuove, costituisce, organizza, dirige o finanzia anche indirettamente associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza su persone o cose, con finalità di t. o di versione dell’ordine democratico è punito con la reclusione da 7 a 15 anni. La sola partecipazione alle predette associazioni è punita con la reclusione da 5 a 10 anni. Agli effetti della legge penale, la finalità di t. si configura anche quanto gli atti di violenza sono rivolti contro uno Stato estero, un istituzione e un organismo internazionale. Con il d.l. n. 144/2005 (convertito in l. n. 155/2005) sono state introdotte misure urgenti per il contrasto al t. internazionale. Scopo principale del provvedimento è potenziare gli strumenti di indagine e di controllo mediante una limitata modifica delle norme vigenti.”
Se il terrorismo colpisce le persone, sfugge innanzitutto l’individualità di tali persone che nel loro ruolo o nella loro moltitudine sembrano perdere la loro soggettività. I loro connotati diventano quasi una descrizione di Tacitiana memoria, una folla indefinita che viene normata attraverso il termine di Stato. Quindi le vittime del terrorismo diventano quasi simboli dello stato, folla anonima con un suo volere che si identifica nella rettitudine di un indefinito Stato. Assumono una cornice di senso che spiega il motivo del loro sacrificio.
Ma questo, ha senso realmente? Le persone muoiono, non gli Stati; l’attacco è alle persone trasformate in pseudo simboli, figure indistinte, incarnazione di qualcosa che è solo un’idea, ma nessuna forma materiale: lo Stato.
È l’ente statale stesso, un nessuno con un volto confuso che da una definizione non umana, empirica che si autogenera, cancellando il singolo a dispetto di un concetto che regola il senso dell’atto.
Si passa quindi ad una definizione ideologica, quasi elevando all’Iperuranio morti e rapiti.
Sembra il processo di spersonalizzazione tipico del soggetto con un forte disagio psichico in cui l’oggetto diviene funzione di se e non anche ente esterno a se.
Dopotutto il cosiddetto pensiero di gruppo tende sempre ad avere caratteristiche psicotiche. L’idea stessa di una figura che normi dei comportamenti umani, nell’enigmatica forma del “Legislatore”, identifica un processo di astrazione di chi norma e regolamenta a favore di una dimensione gruppale in definizione di se e di coloro per i quali la norma è funzionale. Nonostante una legge possa essere approvata attraverso un nome di chi la presenta è semplicemente una forma amichevole per identificare una integrazione o una nuova identificazione all’interno del codice penale o civile.
I due codici normano il comportamento del gruppo, spesso geograficamente stabilito, condividente, nella propria forma “Normale”, la propria identità sociale, culturale, spesso economica. Il gruppo norma il gruppo perché esso sia forma Normale di se stesso. È l’essenza del processo democratico repubblicano, ovvero la spersonalizzazione dell’individuo nella forma totalità indistinta.
In ambiente anglosassone, dati gli sviluppi degli ultimi anni, si è voluto quindi dare una ridefinizione dell’atto, al di là delle impostazioni ideologiche di chi lo compie.
In Europa ed in particolare In Italia, siamo portati a pensare che un atto di terrorismo sia connaturato da una matrice ideologica che spieghi una strage, un evento di sterminio di massa. È chiaro che l’atto di sopprimere indiscriminatamente, nel medesimo momento, più persone, possa essere categorizzato o concettualizzato anche come un fenomeno di mass murdering non solo per ciò che provoca.
In Italia invece, esiste un limite nello sviluppo del concetto di omicidio di massa, attraverso il postulato pseudo-sociologico, secondo il quale un terrorista ha una causa reale ideologica per uccidere più persone nel medesimo tempo o in brevissimi intervalli.
La matrice ideologica porterebbe quindi ad una definizione esclusiva del fenomeno che escluderebbero moventi psichiatrici sostituendoli con presunti motivi di causa superiore o imperante.
Sarebbe troppo lungo spiegare la genesi di questo pensiero, ma è affascinante far notare che i principali gruppi terroristici prima del 1800 erano costituiti da gruppi che centravano la loro azione omicidiaria sulla cosiddetta conservazione della purezza, come ad esempio gli “Zeloti” (i puri) o gli “Assassini” legati all’Islam. Gruppi che proiettavano sugli altri il presunto disagio che oggi chiameremo “da contagio”, e vedevano nella cosiddetta azione omicidiaria la purificazione di istanze difficilmente razionali organizzate sotto una presunta spiritualità. Purificazione ad ogni costo in nome di un ideale che prevedeva l’omicidio.
Il fenomeno della lotta armata in Europa, però nasce dallo scontro di diverse esigenze non solo sociali, confluendo in Italia in una teoria, quella degli “opposti estremismi” , definizione generica ed assai riduttiva, molto in voga nel Belpaese a partire dal 1971 e frutto di una rapporto dell’allora prefetto di Milano, Libero Mazza, al Ministro degli Interni Franco Restivo.
Di volta in volta negli anni, si è voluto rimarcare l’uso deliberato dell’espressione, forma di una definizione frettolosa e omogenea di una serie di fenomeni di lotta armata, sia di sinistra che di destra, che hanno avuto origine in un determinato periodo storico della storia Repubblicana.
Essi sono il riflesso più ampio di una serie di movimenti armati, cosiddetti extraparlamentari, di risonanza Europea e Nord Americana, nati parallelamente e specularmente alle realtà di resistenza armata alle dittature del Sud America.
Questa semplificazione da una parte ha azzerato la reale genesi dei due movimenti armati diversissimi per origine, per scopi, per obiettivi e che per assurdo, non sembrano essere opposti solo nella confluenza nella medesima logica destabilizzante.
D’altra parte, la connotazione di estremismo ha cancellato ogni tipo di singola responsabilità di aderire ad atti devianti, ingiustificabili e delittuosi e quindi di darne una spiegazione eziopatologica complessa.
Verrebbe da chiedersi se ad una persona sia concesso uccidere un’altra, purché giustificato da una causa utopistica.
Un “ideale” insomma, giustifica ed inquadra la strage, lo identifica come comprensibile: inquadra l’omicidio o la strage se questa ha un movente ideologico.
La stessa definizione del Collins cade nel medesimo tranello, ovvero nel giustificare un presunto “illegal murder”, ovvero un omicidio non legale.
Si passa quindi su un piano legislativo, illegale e non attraverso un piano umano secondo cui un omicidio è comunque un atto aberrante che una persona “Normale”, dotata di normale raziocinio ripudia.
Per assurdo basta avere la tessera dell’abbonamento ad una squadra di calcio per avere un’inquadramento ad uccidere, perché anche c’è un ideale di appartenenza ad una Fede. (si noti infatti che gli omicidi negli stadi e le stragi sono ampiamente documentate in letteratura criminologica)
Un movente ideologico può permettere l’omicidio? Oppure assumere che esistono delle organizzazioni o pseudo tali, riconosciute o no, la cui appartenenza giustifica ed inquadra la soppressione del non aderente?
L’appartenenza alle Brigate Rosse o ai Nuclei Armati Rivoluzionari (formazioni assai diverse per genesi e obiettivi, ma accomunati dal ricorso alla cosiddetta lotta armata) giustifica, inquadra, spiega il reato di omicidio o strage, ne norma le pene e il tipo di detenzione. Eppure il sangue sparso delle vittime aveva lo stesso colore degli altri.
È un piano delirante che si accetta.
Perché , al di là dell’inquadramento giuridico e della presunta pena riabilitativa, se ne giustifica l’azione e la necessità folle che spinge alla violenza, si stabilisce che un ideale delirante può avere un inquadramento diverso dall’omicidio e quindi un percorso diverso.
Se invece trattassimo tali atti per ciò che sono, ovvero il ricorso all’espletamento di una spinta compulsiva delirante di tipo compensatorio coperti da una scusa ideologica folle e delirante, allora inquadreremo il fenomeno in una più ampia ottica che si dovrebbe affrontare diversamente.
È chiaro che non si può fare di tutt’erba un fascio, perché l’esperienza della lotta armata delle formazioni a sinistra, inizia in maniera estremamente diversa rispetto alla sua evoluzione, ma molti dei suoi esponenti fondatori avevano ampiamente prevista la svolta ed il ricorso a metodi stragisti assecondando una lucida follia chiamata Rivoluzione Armata, destinata a perdere lasciandosi dietro una lunga scia di sangue.
È anche possibile anche che questo tipo di lotta armata abbia attirato personaggi predisposti mentalmente ad un tipo di discorso di omicidio di massa e ne abbia fomentato l’evoluzione e la criminogenesi che altrimenti sarebbe esplosa altrove.
Questo tipo di idea però non è verificabile finchè ammanteremo la lotta armata ed i suoi esponenti di un aura che li definisce semplicemente terroristi spinti da una causa (sbagliata, assassina, perdente che si voglia definire) che ne giustifica l’azione.
Se invece valutassimo l’eziopatogenesi del disagio in cui nasce il cosiddetto terrorista, la spinta compulsiva, la folle ricerca dell’estroflessione mentale di una necessità tanatologica, il fenomeno dello stragismo e dei suoi protagonisti deliranti acquisirebbe una luce diversa che non può solo fermarsi alla definizione sociologica o a quella psicopatologica. Una nuova definizione per azione e direzione, fantasia e ideazione fino all’espletamento della scarica compulsiva attraverso il moto assassino ripetuto, coattivo: quell’analisi eziopatogenetica che dovrebbe essere il fondamento di ogni tipo di ricerca su fenomeni che implicano un disagio mentale di rilevanti dimensioni.
Sarebbe infatti utile l’ agognata integrazione mutidisciplinare che partendo da una definizione descrittiva dei fattori sia sociali, sia individuali, dovrebbe giungere al quadro di formazione della cosiddetta tempesta perfetta.
Per spiegare come avviene la tempesta perfetta, dovremmo quindi inserire in primo luogo il concetto di omeostasi ovvero la tendenza naturale al raggiungimento di una relativa stabilità, sia delle proprietà chimico-fisiche interne sia comportamentali che accomuna tutti gli organismi viventi. Tale regime dinamico deve mantenersi nel tempo, anche al variare delle condizioni esterne, attraverso precisi meccanismi autoregolatori.
Ogni essere umano, nel suo microcosmo segue un suo principio omeostasi sia fisiologica, cognitiva, emotiva (Damasio,2022).
Il delirio è il meccanismo di riequilibrio omeostatico del disagio mentale, esso coinvolge sia il livello cognitivo che quello emotivo (assente nel paziente psicotico schizofrenico). Mentre il meccanismo di riequilibrio solitamente è basato sul meccanismo di feedback, ovvero sull’azione della coscienza che attraverso i propri atti, valuta la risposta ed applica una variazione in funzione dell’omeostasi, il pensiero disagiato si basa su un meccanismo feedforward, ovvero su un principio delirante in cui l’impulso tende a propagare se stesso fino all’esplosione compulsiva chiamata appunto acting out (Freud,2014).
Questo meccanismo è proprio del mass murder, ma non solo. Analizzando le azioni dei mass murder più propriamente definibili in un ambito strettamente psichiatrico e i cosiddetti terroristi pseudo-religiosi e pseudopolitici, ci accorgiamo innanzitutto della fredda e lucida determinazione che sembra sospendere lo stato di coscienza.
Una spinta anaffettiva tipica dello psicotico anche riscontrabile in molti casi di delirio psicopatico. Nella definizione della genesi dell’action out, espressione della spinta compulsiva compensatoria, esisterebbe nell’ideazione, un cosiddetto pensiero prevalente (DSM 5, 2014) legato ad aspetti tanatologici ( spesso lo ritroviamo nei reduci di guerra o in chi ha avuto esperienze traumatiche estreme) che non può essere represso e quindi, scindendosi dalla consapevolezza del soggetto, viene proiettato all’esterno. Possiamo definire questo pensiero, come “pensiero assoluto” ovvero un pensiero che non ha più aspetti critici che rappresenterebbero la componente consapevole della persona.
Secondo definizione l’assoluto è:
“Che non ammette limitazioni, restrizioni o condizioni relativamente a sé stesso, alla propria volontà o alle proprie attribuzioni: potere assoluto; sovrano asooluto, che regna in un clima di assolutismo, despota, tiranno; giudizi troppo a., eccessivamente severi, perentori.”
L’assoluto è un concetto umano impossibile nella sua immanenza. L’assoluto non può esistere, ma giustifica se stesso nella propria volontà di essere assoluto.
Insomma, con l’assoluto non ci puoi discutere.
Ecco perché l’assoluto è in senso religioso, ad esempio, la manifestazione di Dio, in senso politico, il comunismo o il fascismo. L’assoluto è quindi simbolico perché assume un valore condiviso ed accettato pur non esistendo realmente. Esiste per fede. Per assurdo ciò che è accettato per fede crea paradossi: la scienza è un assoluto, la politica è un assoluto, la giustizia è un assoluto, la libertà è un assoluto e Dio è un assoluto. Per cui, con buona pace per San Tommaso d’Aquino, Dio è mutevole perché nel suo assoluto assume una forma trascendente ed infinita.
Lacan si era spinto oltre e come sua consuetudine francese, era riuscito a chiudere la definizione divina in una rappresentazione “Acefala” (Lacan,2006) senza però fornire altro che una serie di spunti deduttivi che poco avevano a che fare con la psicanalisi. Se la volontà di Dio è atto, allora l’esplicazione della medesima esiste attraverso il pensiero. Per cui Dio non pensa perché è atto puro. Se non pensa, Dio è Acefalo.
Al di là della conclusione appare interessante l’idea che la volontà ed il pensiero coincidono a tal punto che l’azione non ha fase di pensiero, ma si esplica perché è così.
Il terrorista di natura religiosa o politica così come il mass murder non ha riflessione, ma azione dal momento che egli si identifica con l’immanenza della volontà divina o ideologica assoluta come fosse lucida follia nell’azione di Dio, nel paradosso del suo ateismo, nell’assurdo di una volontà oscura dettata da un delirio.
Egli non può porre razionalmente, la sua scelta di uccidere perché essa mina il presupposto su cui Dio o il Dio ideologico si regge: la fede. Dio e la rivoluzione sono fede ed atto. Il gesto del terrorista, come il mass murder è quindi un assoluto, un’ azione in Dio e per Dio (che tende ad esso). L’azione diventa destabilizzazione del sistema e riequilibrazione osmotica delle mancanze di cui l’assassino necessita, sul piano del microcosmo e macrocosmo.
Il terrorista, il mass murder può morire solo in nel momento in cui egli diviene strumento dell’atto divino e tutt’uno con esso. Nell’atto, soprattutto suicidario, esso espone tutta una vasta ricorrenza simbolica presente in ogni tipo di liturgia di stampo pagano, chiamata ad esempio “Bella Morte”, che avvolge ed ammanta l’azione del rivoluzionario.
Si tratta di liturgie antiche, spesso anche oltre la definizione psichiatrica, che sembrano afferire all’idea della spinta Tanatologica, nell’annientamento di se, del disagio che è di per se fonte di mancanza di stabilità. Istanze insindacabili, legate a stati recessivi che si esplicano nel sociale per l’impossibilità di essere elaborati coscientemente. Essendo instabili ed assolutamente inelaborabili, essi vengono proiettati all’esterno ed agiti compulsivamente sugli altri che diventano funzione della propria stabilità. Destabilizzare per stabilizzarsi attraverso l’atto violento che scarica la spinta compulsiva e la rende funzione di riequilibrazione.
Ciò che apparentemente differisce tra mass murder e terrorista è la cosiddetta attribuzione casuale fenomenica.
Il mass murder sembra non mediare direttamente la sua compulsività attraverso l’altare ideologico, ma egli stesso è altare dell’azione riequilibrativa, perché elimina il disagio direttamente, attraverso la scarica compulsiva, in cui l’azione stessa diventa catartica sino allo scarico. Anche in questo caso il luogo della strage diventa un altare al sangue purificatore. Sembra apparentemente un livello più scisso di coscienza, ma in realtà il processo è il medesimo, identico perché il processo di proiezione psicotico si svolge nel medesimo modo. Il luogo del crimine diventa parte stessa della azione e luogo di culto dell’esplicazione dell’azione omididiaria fino a diventare luogo di culto dell’assassino.
È comunque una tremenda fascinazione che subiamo tutti, la percepiamo quasi tacitamente se pensiamo ad esempio ai luoghi di strage o alle scene del crimine che spesso diventano luoghi quasi di culto meta di pellegrinaggi religiosi o pagani.
Il terrorista ed il mass murder, nella loro azione, rivendicano una presunta regalità e discendenza che in una identificazione col divino o con l’ideale (ovvero con l’assoluto) e nella dissoluzione (propria anche della tragedia greca) il motivo della loro elezione ad esso e simbolo del martirio della rivoluzione ideologica. Si riequilibrano scaricando il disequilibrio sul sistema, sul gruppo che è la fonte del loro disagio proiettato.
In ambedue le modalità, manca il dubbio. Manca la consapevolezza che lega realmente all’atto psichico, al delirio, alla fantasia di annientamento dell’altro in quanto funzione disturbante di se, manca la capacità consapevole di arrecare del male agli altri attraverso le proprie azioni. Gli altri, diventano funzioni di se, simboliche del proprio disagio.
Il Mass Murder, nella sua azione stragistica, si pone in relazione con l’Assoluto e con la manifestazione divina dell’assoluto avendo fede in un pensiero delirante, secondo il quale la risoluzione del proprio disagio avverrà attraverso un’azione sugli altri, definiti come gruppo, una azione che ponendo fine al disagio, ristabilirà un equilibrio, disequilibrando l’Altro da lui, fonte del suo malessere.
Nel medesimo attimo Il terrorista, nella sua azione stragistica, si pone in relazione con l’assoluto idealistico e con la manifestazione divina dell’assoluto avendo fede nell’Ideale secondo il quale la risoluzione del proprio disagio proiettato sul gruppo definito Stato , porrà fine al disagio “sociale”, ristabilirà un equilibrio, disequilibrando l’Altro da lui, fonte del suo malessere.
Il cosiddetto terrorista ed il mass murder hanno quindi il medesimo motore che si alimenta in una attribuzione causale apparentemente diversa, ma che fornisce la stessa identica risposta: ristabilire il proprio equilibrio o disequilibrio attraverso un’azione equilibrante – disequilibrante che sia funzione di un piano delirante.
In ambedue i casi, la spinta compulsiva esplode nell’acting out e tramite il meccanismo del feedforward, scarica la carica delirante creata da pensieri distruttivi ed autodistruttivi. L’unica differenza è nella cornice di senso, ovvero nell’attribuzione causale che il soggetto agente fa in riferimento alla scarica.