La scena del crimine

La scena del crimine è senz’altro uno degli elementi più importanti per scoprire chi sia l’autore di un reato. Inoltre, la sua accurata analisi è una delle operazioni più delicate ed importanti durante un’investigazione.

Il luogo dove è stato compiuto un crimine, infatti, è il punto di congiunzione tra la criminalistica e la criminologia, due discipline che molti tendono a confondere. In realtà, la prima studia le moderne tecniche di ricerca delle tracce, le metodologie e le procedure di laboratorio al fi ne di risalire alle tracce stesse di un delitto e all’identificazione del responsabile, mentre la seconda studia i reati, gli autori e le vittime.

Nella scena del crimine, quindi, si trova il punto di contatto tra una scienza più teorica, la criminologia, e quella, invece, più pratica, la criminalistica, appunto.

Per completarne il quadro delle definizioni possibili, possiamo considerare la SdC (la scena del crimine, come viene definita dagli “addetti ai lavori”) come una forma di comunicazione lasciata da chi ha commesso il crimine in questione; una comunicazione che spesso è l’unica in grado di farci capire chi sia il colpevole, chi possa aver commesso il reato.

In un’indagine, infatti, spesso e volentieri possono venire a mancare i testimoni o il movente, ma la scena del crimine è sempre presente, più o meno estesa, più o meno difficile da analizzare, ma immancabilmente pronta per essere analizzata.

 

Cos’è la scena del crimine

Ma cos’è fisicamente e spazialmente una scena del crimine? Come definizione principale, è il luogo dove è stato compiuto il reato. Ma se analizziamo bene questa definizione, potremmo desumere che risulta abbastanza sommaria e generica. Questo perché vi sono almeno tre differenti zone, ugualmente importanti, ai fini investigativi: la scena del crimine primaria, dov’è avvenuto il fatto delittuoso o dove è stato rinvenuto il cadavere, la scena del crimine secondaria, ossia quel luogo, in prossimità della scena del crimine primaria, dove vi è un’alta probabilità che l’autore vi abbia compiuto delle azioni o vi abbia agito la vittima in prossimità della morte e, infine, le zone di interesse investigativo, dove l’autore del reato vi è sicuramente transitato. Ebbene, queste tre zone rappresentano complessivamente la scena del crimine. Oltre ad una definizione spaziale, comunque, è possibile dare, anche se in maniera un po’ azzardata, una definizione “temporale” della scena del crimine. Se consideriamo, per esempio, un luogo dove l’autore del reato vi abbia solamente transitato (per esempio la via di fuga), quest’ultimo può essere considerato a tutti gli effetti una SdC, a seconda del lasso di tempo in cui l’autore vi è rimasto.

La criminalistica studia le moderne tecniche di ricerca delle tracce, le metodologie e le procedure di laboratorio al fi ne di risalire alle tracce stesse di un delitto e all’identificazione del responsabile,

Infatti, se anche per ipotesi non vi sono state azioni dirette da parte dell’autore in quel luogo, è comunque statisticamente più probabile che vi abbia lasciato una traccia, per esempio una formazione pilifera (ossia lasciando uno o più capelli o peli), visto il lungo lasso di tempo in cui vi è rimasto. Altra zona importante, nell’atto dell’analisi della SdC, è l’individuazione di una zona, definita dagli specialisti “tiepida”, situata nelle adiacenze della stessa SdC, per esempio, in caso di un appartamento, il pianerottolo, dove gli operatori della Polizia scientifica dovranno indossare le idonee protezioni per “varcare la soglia” (frase che dà sempre inizio, per tradizione, alla descrizione di un ambiente chiuso nel fascicolo di sopralluogo).

Metterla in sicurezza

Definita la scena del crimine, in maniera spaziale e temporale, passiamo ora alla sua analisi. Tutti gli operatori che dovranno entrare per analizzarla, o anche solo per visionarla, sono obbligati a munirsi di apposite protezioni, a cominciare da una tuta monouso che comprende un paio di copricalzari e un cappuccio, dei guanti in lattice e una mascherina. Questo tipo di “abbigliamento” permette di evitare che gli operatori contaminino la SdC con le proprie impronte digitali o lascino, accidentalmente, residui biologici sulla scena.

Inoltre, non dobbiamo dimenticare che queste specifiche protezioni permettono di salvaguardare gli stessi operatori anche da eventuali contaminazioni da parte dell’ambiente, per esempio dalla presenza di tracce di sangue infetto ritrovate sulla scena del crimine. Per questo, si deve sempre evitare di entrare nella SdC senza queste opportune protezioni e, allo stesso tempo, si deve in ugual misura evitare di uscire dal luogo del crimine e dalla cosiddetta zona “tiepida”, con ancora indosso l’“abbigliamento” di protezione.

A questo punto, non solo è molto importante, ma anche scontato, quando viene scoperto un delitto e dopo l’intervento dei sanitari accorsi (per il soccorso della o delle vittime o per la constatazione di morte) precludere l’accesso alla scena fino a quando non sono intervenuti gli operatori della Polizia scientifica. Questo perché, come si vede nei film e negli sceneggiati televisivi, la possibilità di trovare delle tracce, che possano ricondurre agli autori del crimine, dipende esclusivamente dalla salvaguardia dei luoghi dov’è avvenuto.

Ecco perché bisogna sempre annotare chi ha avuto accesso nella SdC, ai quali, poi, in seguito saranno prese le impronte digitali che verranno escluse, di conseguenza, da quelle rilevate nell’ambiente, al fine di determinare quale sono, invece, quelle lasciate dall’autore del delitto. Così come, analogamente saranno prese le impronte delle suole delle scarpe, grazie ad appositi fogli, al fine di determinare quale impronte di calzature sono state lasciate dal colpevole.

Come analizzarla

Leggendo i libri di Jeffery Deaver, che ha ideato la serie dell’investigatore paraplegico Lincoln Rime, vediamo che l’analista della SdC, Amalia Sachs procede all’analisi della scena con il metodo sistematico definito “a griglia”, ossia ponendosi parallela ad una parete e procedendo a muoversi avanti e dietro, di metro in metro, coprendo tutta la zona interessata.

Il metodo anglosassone appena considerato, forse un po’ enfatizzato in questi romanzi, è diverso da quello utilizzato dagli operatori della nostra Polizia scientifica, in quanto l’analisi della scena del crimine viene da noi effettuata, dal principio, con un sistema definito “punto-punto”. Ossia, preferiamo procedere diretti al punto più importante e visibile della scena, per esempio il cadavere, e poi sequenzialmente agli altri oggetti d’interesse investigativo visibili da quel punto, per esempio una pistola, un bossolo, un’impronta eccetera.

A quel punto, dopo aver individuato le tracce più visibili, si procede ad una ricerca sistematica basata sul seguente ordine: da destra verso sinistra, dal generale al particolare, dal basso verso l’alto. Questa sequenza è la stessa utilizzata per la descrizione degli ambienti all’interno del sopralluogo della Polizia scientifica, l’atto complessivo che serve a fissare la scena del crimine.

Ma che cosa succede quando i sopralluoghi di una scena del crimine si svolgono all’aperto e non in un appartamento o in un luogo chiuso? Ebbene, in questi casi, la scena del crimine può essere divisa in settori rettangolari per permettere di analizzare il luogo in modo più minuzioso, evitando così di cercare più volte nella stessa area.

Una scena del crimine all’aperto è più semplice?

Se poi, nella scena del crimine all’aperto si è svolto un conflitto a fuoco o si ha il sospetto che vi possano essere nascosti o dispersi degli oggetti metallici, la zona in questione viene suddivisa in strisce della larghezza di circa un metro che saranno ulteriormente ispezionate mediante l’utilizzo di metal detector.

Un esempio tipico è stata la ricerca del coltello disperso in un prato molto esteso per l’omicidio di Adriana Tamburini, avvenuto nell’ottobre di due anni fa a Sora, in provincia di Frosinone, per mano del suo fidanzato Michele Salerno. Il prato fu diviso a fasce e, alla fine, il coltello venne trovato, proprio grazie al metal detector, nascosto sotto uno spesso strato d’erba.

Le tracce e Locard

Gli operatori della Polizia scientifica, al loro arrivo sulla scena del crimine, non riservano il loro interesse esclusivamente nel congelare il luogo in questione per permettere di effettuare un fascicolo di sopralluogo, ma hanno il compito fondamentale di cercare e preservare le tracce.

E quando si parla di tracce lasciate sulla scena del crimine non si può far a meno di parlare di Edmond Locard, un celeberrimo criminologo francese che, nel1910 a Lione, formulò il cosiddetto “principio del libero scambio”, che riassunse con queste parole: «Quando due oggetti entrano in contatto, ognuno lascia sull’altro qualcosa di sè; quindi un individuo che commette un crimine lascia qualcosa di sè sulla scena del crimine e, parallelamente, qualcosa del luogo del delitto rimane sul reo».

Avendo bene in mente questo principio fondamentale, ogni operatore della Polizia scientifica, e non solo italiana, dopo aver fissato e fotografato le tracce visibili, procede nel cercare quelle latenti, come possibili impronte digitali, tracce biologiche eccetera. In seguito, qualora il caso lo richieda, possono essere effettuate delle ricerche più accurate, avvalendosi di sistemi più o meno invasivi.

La ricerca avanzata delle tracce

Per esempio, a seguito dell’omicidio di Maria Carmela Linciano e della figlia quattordicenne Valentina Maiorano, avvenuto a Campobasso e di cui sono imputati Angelo Izzo e Luca Palaia, gli operatori della Polizia scientifica cercarono altre sepolture, che si riteneva fossero presenti sul terreno, mediante un Georadar, uno strumento altamente tecnologico che permette attraverso l’immissione di onde impulsive ad alta frequenza e la relativa lettura dell’onda riflessa, eventuali corpi sepolti o cavità presenti.

La stessa tecnica è stata utilizzata, lo scorso anno, per cercare i resti del giornalista Mauro de Mauro, eliminato dalla mafia siciliana nel settembre del 1970 a Palermo.

Naturalmente, la Polizia scientifica ha in dotazione altre apparecchiature che permettono di effettuare, sempre attraverso il principio del radar, ricerche all’interno di muri o sonde, munite di telecamera, che possono essere infilate nei forellini più minuscoli alla ricerca di cavità.

Non per nulla, accurate ricerche, proprio grazie a questo tipo di apparecchiature, furono effettuate nel covo, dove venne catturato il “boss dei boss” Bernardo Provenzano a Corleone, alla ricerca dei famosi pizzini e di quanto altro utile fosse ai fini investigativi.

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