Proprio una settimana fa, nella sua casa di Torino dove viveva con Anna, moglie e compagna di una vita, ci lasciava Ruggero Perugini.
I più lo ricorderanno come l’investigatore dell’annuncio televisivo, quando il 4 febbraio 1992 in una diretta dalla piazza di Vicchio mise la sua faccia per fare un appello al mostro di Firenze e cercare di convincerlo a costituirsi, a togliersi di dosso quel macigno che lo schiacciava.
Perugini era così, sempre diretto, si esponeva in prima persona. Ho avuto la fortuna di conoscerlo, era il 1995, o un poco prima, e Perugini fu incaricato di supervisionare la nascente UACV, Unità Analisi Crimini Violenti della Polizia Scientifica.
Quell’uomo giunto da Quantico portò un vento nuovo, cercando ogni giorno di far comprendere le metodiche statunitensi per applicarle alle nostre indagini, in special modo a quelle riguardanti gli assassini seriali. Erano gli anni di Giancarlo Stevanin e di Donato Bilancia.
Perugini era stato capo della Squadra Mobile di Firenze e quindi, nei primi anni ‘90, comandò la Squadra Anti Mostro. Con la sua tenacia riuscì a scoprire e far processare Pietro Pacciani. Era lui il colpevole? Il primo grado disse di sì e proprio lì ci si fermò, visto che la sentenza di secondo grado, che assolveva il contadino di Mercatale, venne annullata.
Poi la morte di Pacciani mise fine alla storia.
Non tengo il conto di quante volte mi disse che era dispiaciuto, nella sua vita, di due cose: l’aver trovato quel proiettile e della morte di Pacciani.
Nel momento in cui trovò quel proiettile, nell’orto di Pacciani, ebbe subito la sensazione che la sua vita sarebbe cambiata, sapeva che quel piccolo pezzetto metallico gli avrebbe portato sospetti ed illazioni. E lui, signore di altri tempi, con una onestà che lo contraddistinse per tutta la vita, sapeva già in quel momento, in cui con le pinzette estrasse da terra il proiettile, che la sua vita sarebbe cambiata. La morte di Pacciani gli dispiacque, lo ritenne sempre un avversario “valido”, con una intelligenza nascosta nei suoi modi da contadino. Lui lo conosceva bene, per tutte le volte che era andato a parlarci in carcere, vis à vis e da solo. Era convinto, mi ripeté sempre, che alla fine Pacciani avrebbe confessato. Era convinto che avrebbe ammesso le sue colpe, non permettendo a nessuno di arrogarsi il titolo di “Mostro”.
Ho avuto la fortuna di viverlo di più negli ultimi anni, quando eravamo collegati al pc, ripercorrendo la sua storia e la storia di quegli omicidi. Alcune volte la tensione diventava alta ed immancabilmente riuscivamo a sdrammatizzare al volo, o lui con una battuta o io domandandogli del paperone. Ed ecco che la tensione svaniva e si rideva come ragazzini.
La storia del paperone me la raccontò più di vent’anni fa, Perugini era funzionario del commissariato Esposizione a Roma. Era da giorni sparito uno dei due cigni del laghetto dell’EUR e persino i giornali ne parlavano, non escludendo che alla scomparsa potesse seguire una richiesta di riscatto. Proprio la pressione mediatica aveva spinto ad una attenzione maggiore, però il cigno era scomparso ed effettivamente nessuno riusciva a portare un risultato. Una mattina, mentre Perugini stava facendo colazione in un bar, entrò un “senza tetto” della zona (adesso avremmo detto clochard) che parlando con un suo collega di “panchina” gli disse: ”certo quel paperone che abbiamo preso l’altro giorno quanto si ribellava…l’abbiamo dovuto fermare in 3… però tutto sommato non è andata male… ci abbiamo mangiato in 12…”.
Il mistero fu svelato.
Questa storiella gli serviva per far comprendere i principi del “rasoio di Occam”.
La soluzione più semplice, quella sfrondata da rami inutili, spesso è quella giusta.
Ecco, quella era una sua caratteristica, sapeva spiegare le cose difficili in maniera semplice e comprensibile. Così come cercò di far comprendere ai suoi colleghi, appena ritornò in Italia da Quantico, cosa significasse Stranger Murder o Lust-Murder e quanto fosse importante l’applicazione di un metodo in special modo per i reati seriali.
Se ne va un pezzo di storia, ma ancor di più se ne va un uomo speciale: parafrasando il suo libro, non è andato via “un uomo abbastanza normale”.
Ciao, Ruggero.