È di questi giorni la notizia della condanna in appello per il decesso di Martina Rossi, la sentenza della Corte d’Appello ha condannato a 3 anni i due imputati di Arezzo per tentata violenza sessuale di gruppo. Il fatto avvenuto il 3 agosto del 2011 a Palma di Maiorca, in Spagna.
La sentenza, la quarta fin d’ora, è relativa alla sola tentata violenza sessuale dato che il capo d’accusa relativo alla “morte come conseguenza di altro reato” è caduto in prescrizione.
Ma come si è giunti ad una condanna, anche se parziale?
Intanto iniziamo con l’analisi della caduta.
A seguito di una precipitazione volontaria, omicidiaria o accidentale, i primi elementi che vengono presi in considerazione sono quelli circostanziali ed oggettivi come la presenza di ulteriori persone nel luogo dov’è avvenuta la caduta, lo stato di disordine dell’appartamento, la chiusura dall’interno della porta d’ingresso, l’altezza del davanzale della finestra/ringhiera, eventuali biglietti d’addio, etc.
Iniziamo con il dire che Martina non era sola quel giorno nella stanza 609 dell’hotel ‘Santa Anà.
La presenza di altre persone non esclude l’ipotesi suicidiaria però la limita fortemente quando non vi sono legami affettivi tra il soggetto che precipita e le persone presenti, Infatti, poiché i legami la presenza di legami affettivi favorisce quelle situazioni che possono essere motivo di un gesto estremo come un suicidio. Come ad esempio un lite che degenera, un rimprovero eccessivo o vessatorio, un evento familiare drammatico, etc…
Decisamente al contrario di quanto venne concluso dalle indagini effettuate in Spagna.
Il proseguimento delle indagini in Italia ha invece scartato, giustamente, l’ipotesi suicidiaria.
Un dato in più ci viene fornito dalla posizione del corpo al momento del rinvenimento (qualora non sia stato mosso o spostato dai primi soccorritori).
In generale non risulta particolarmente indicativo, ai fini della ricostruzione, che il corpo sia rinvenuto in posizione prona o supina o che sia rinvenuta la testa in direzione del punto di caduta o nella direzione opposta. Risultano importanti due elementi: la posizione del corpo per determinare con la sua perpendicolare il punto di caduta e la distanza del corpo dal prospetto dell’edificio (tenendo conto eventualmente anche della eventuale sporgenza del balcone).
Per quanto riguarda la posizione del corpo si era ritenuto che lo stesso fosse stato rinvenuto a terra in corrispondenza del centro del balcone della stanza 609. La difesa dei due ragazzi aveva sostenuto che Martina fosse precipitata accidentalmente a causa di un piccolo malore. L’accusa sosteneva che Martina stesse fuggendo dall’aggressione per raggiungere la stanza adiacente scavalcando il balcone. Questa ipotesi contrastava con la presunta posizione del cadavere di Martina.
La difesa ipotizzò anche una precipitazione per suicidio sostenuta dalla testimonianza oculare (l’unica) di una cameriera spagnola, Francisca Puga Escuder: “L’ho vista scavalcare e gettarsi, sollevò una delle gambe sulla ringhiera, fece una piccola rotazione del corpo in avanti e si lasciò cadere nel vuoto”.
Attendibile?
In realtà, senza disturbare troppo la psicologia della testimonianza, la sua deposizione fu sempre altalenante al punto di perdere di credibilità. Dapprima dichiarò di aver visto Martina gettarsi nel vuoto, poi, in un secondo momento, la sua testimonianza si fece più confusa, meno certa “non ricordava benissimo” ed infine nell’ultima audizione davanti agli inquirenti spagnoli la sua memoria tornò e ricordò anche il particolare della rotazione sulla ringhiera. In quella stessa testimonianza curiosamente non ricordò di aver visto gli asciugamani e gli indumenti stesi sulla ringhiera in questione. La cameriera, tra l’altro, avrebbe assistito alla scena dal basso (la precipitazione avvenne al sesto piano) e per giunta di notte.
No, la deposizione della Puga non venne ritenuta affidabile nel processo ai due ragazzi aretini presenti quel giorno nella stanza.
La posizione del corpo accertata successivamente in corrispondenza di un margine del balcone, escluse quindi l’ipotesi suicidiaria anche per via della ridotta distanza tra il corpo ed il prospetto dell’edificio. Al contrario di quanto si possa pensare, in caso di caduta accidentale (o omicidiaria) questa distanza risulta essere minore rispetto ad una caduta suicidiaria.
Le persone non vengono “lanciate”.
Quindi la discriminazione tra caduta accidentale e omicidiaria viene effettuata tenendo conto anche di altre risultanze investigative. Per esempio, nel caso in questione, acquisiscono importanza: i graffi presenti sul collo di uno degli imputati, il fatto che Martina sia entrata in quella stanza con i pantaloncini corti e viene poi rinvenuta a terra in maglietta e mutandine e alcune intercettazioni telefoniche effettuate nei riguardi degli imputati.
Ricostruire un evento delittuoso senza testimonianze dirette, circostanziali e concordanti è decisamente difficile. Nel caso specifico sono assenti anche elementi di natura prettamente scientifica quali impronte digitali, DNA, tracce ematiche ed altro ancora.
Un’accurata analisi dei pochi dati oggettivi è riuscita a far combaciare i vari pezzi del puzzle fino a determinare l’unica dinamica possibile di quella notte: la caduta accidentale di Martina per fuggire dall’aggressione.