Almeno una volta nella vita abbiamo aiutato qualcuno in difficoltà senza nulla a pretendere in cambio, pensiamo pure in modo disinteressato.
Almeno una volta nella vita, questo qualcuno in difficoltà ci ha ripagati ignorando l’aiuto ricevuto, considerandolo quasi come dovuto o mostrando nei nostri confronti addirittura una sorta di risentimento che non siamo mai riusciti a spiegarci.
Ti aiuto e mi odi?
L’aiuto offerto non necessariamente deve essere stato di tipo economico, ma può essere stato un supporto emotivo, lavorativo, culturale, legale, sanitario, morale, e non per questo meno importante. Tuttavia, il beneficiato non ha mostrato in quell’occasione e nei nostri confronti, il minimo segno di gratitudine ne tantomeno ha fatto “lo sforzo” di ringraziare, che per quanto finto e non sentito è pur sempre un gesto cortese di pacifica convivenza.
Eh no…anzi, è capitato anche che abbia avuto nei nostri confronti un atteggiamento che abbiamo percepito “di fastidio”, di evitamento, in alcuni casi, di risentimento.
Non possiamo pensare, se mossi dalle più sincere intenzioni, di aver fatto qualcosa di male nell’aiutare una persona in difficoltà. Concediamoci di partire quantomeno da questo presupposto e lasciamo da parte l’aiuto con “secondi fini” in cambio del quale, una reazione di ostilità non sarebbe stata poi così incongrua…
Perché mai? Come possiamo spiegare psicologicamente un meccanismo di questo tipo? Di certo dobbiamo partire dal presupposto che non abbiamo colpe.
Il debito di riconoscenza
Dobbiamo pensare che nel ricevere il nostro supporto, il beneficiato, riceve un favore che lo lega inevitabilmente a noi. Quanto più l’aiuto è grande, tanto più la persona sente il peso del debito di riconoscenza. Alcuni possono non riuscire ad accettare fino in fondo il dono ricevuto. Così, entrano in scena meccanismi difensivi del tipo: “era suo dovere” (razionalizzazione), “ma quando lo ha fatto? Non ricordo” (negazione), “non gli ho chiesto nulla, ha insistito lui” e così via, quasi a volersi liberare del peso di riconoscenza sminuendo, svalutando e nella peggiore delle ipotesi calunniando: “certamente ora pretenderà qualcosa in cambio!”.
Le nostre intenzioni sono nobili e quella risonanza empatica che ci spinge verso l’altro sostenendolo nella sua difficoltà del momento, porta con sé diversi scenari possibili. Uno di questi è il far emergere nel beneficiato un latente senso di inferiorità, e il nostro aiuto viene letto come un: “hai bisogno di me”. Se da una parte liberiamo la persona in difficoltà dal dover risolvere da sé questioni che la tormentano, dall’altra la abbiamo indissolubilmente legata a noi con il vincolo della riconoscenza. E per giunta senza il suo consenso…
L’insopportabile sensazione di non bastare a se stessi
Senza intenzione di ferire sentimentalmente qualcuno e ovviamente in maniera del tutto inconsapevole, prestare supporto è un’azione che non richiede pianificazione né tantomeno uno sterile ragionamento basato su costi e interessi delle nostre azioni. Aiutiamo perché sentiamo di volerlo fare. Il beneficiato tuttavia nel ricevere supporto è costretto a fare i conti con sé stesso e il dubbio sul proprio valore e sulla capacità di affermarsi nella propria autonomia, è conseguenza inevitabile. Chissà se senza il beneficio ricevuto sarebbe stato in grado di risolvere da sé. Ed è così che quel sentimento positivo di ammirazione e dell’essere grati per l’aiuto ricevuto si trasforma in invidia.
Non possiamo volergliene. Il nostro beneficiato tutto sommato ha trovato in queste operazioni mentali una soluzione efficace per negare il suo vissuto di inferiorità e la consapevolezza del suo ingiustificato – e al tempo stesso intollerabile – sentimento di invidia.
Ed è con questa sintesi di emozioni e vissuti, tra senso di colpa, invidia e paura di non essere all’altezza che l’aiuto per quanto temuto è testimone prezioso di una verità che non dobbiamo negarci: quella di essere umani e non superuomini. Ci sono momenti nella vita in cui l’accettare di essere supportati e chiedere aiuto non è una vergogna, ma un gesto di umiltà e di grande consapevolezza di noi stessi.
“Colui che vede un bisogno e aspetta che gli venga chiesto aiuto è scortese quanto colui che lo rifiuta.”
Dante Alighieri