Nella criminalistica le impronte digitali hanno un ruolo identificativo principale, spesso maggiore dell’identificazione tramite DNA, non solo relativamente all’identificazione dell’individuo ma anche per la ricerca dei colpevoli a seguito di un reato. Ma quando venne scoperta la loro utilità? Anzi in particolare quando vennero utilizzate per le prima volta ai fini di “polizia”?
Il primo utilizzo delle impronte digitali
Dobbiamo spostarci in oriente per vedere il loro primo utilizzo ed in particolare in India dove un impiegato dell’amministrazione britannica, William James Herschel, addetto al pagamento delle pensioni ai “sudditi” indiani della Corona, ebbe l’idea di identificare i numerosi richiedenti utilizzando le loro impronte digitali. Probabilmente l’idea la trasse dai mercanti cinesi che vivevano nel Bengala e che suggellavano i contratti di divorzio (ma non di matrimonio) con le impronte delle dita o la trasse dalla regola, sempre utilizzata nella zona, di prendere le impronte delle dita ai bambini abbandonati negli orfanotrofi.
Nell’agosto del 1877 Herschel, che ormai era quasi vent’anni che si trovava a lavorare nel distretto Hooghly, scrisse al direttore delle carceri del distretto del Bengala dicendogli come utilizzava le impronte ai fini identificativi. Chiunque venisse a ritirare la pensione doveva lasciare l’impronta del pollice e dell’indice che venivano acquisite mediante un “semplice inchiostro da timbro”.
Questa lettera veniva scritta dopo vent’anni di lavoro e la raccolta di migliaia di “cartellini dattiloscopici”, fin dal primo loro utilizzo nel 1858 quando chiese all’indiano Rajyadar Konai (come parte contraente di una fornitura di materiale edile per le strade) di “macchiare” con l’inchiostro della mano destra ed imprimere la sua orma sul foglio.
Aveva capito l’importanza del metodo ideato proprio nel suo quotidiano compito di pagare la pensione a vecchi soldati indiani che ai suoi occhi apparivano tutti uguali. Questi andavano a ritirare la loro pensione sciorinando nomi, per lui incomprensibili, che spesso non sapevano scrivere. Con il suo lungo studio costatò la differenza delle “linee papillari” tra individuo ed individuo (come ormai aveva iniziato a definirle dopo che lo aveva letto su un trattato di anatomia) ed un’altra particolarità che aveva potuto riscontrare era che negli anni queste linee rimanevano immutate. Questi anziani reduci di guerra non mutavano le loro linee nel corso degli anni.
Un lavoro che ebbe conclusione con quella lettera del 2 agosto scritta con accanto il suo libretto che aveva intitolato: Segni di mani.
La lettera continuava prendendo in considerazione il caso Tichborne che stava monopolizzando l’opinione pubblica londinese ed il cui eco era giunto anche nella lontana india. C’era una grandissima eredità da assegnare a seguito della morte dal lord James Tichborne ed un truffatore si era presentato dicendo di essere Roger il figlio del lord scomparso nel 1854. Era stato così abile a riuscire addirittura da convincere la madre ormai cieca ed alcuni parenti. Dopo anni di processi Castro, questo è il nome del sedicente erede, venne smascherato e condannato a 14 anni di carcere.
Nella lettera Herschel espose la sua semplice soluzione in casi come questi: “Per dare un esempio di quanto potrebbe essere prezioso il mio sistema, poniamo il caso che Roger Tichborne entrando nell’esercito avesse dovuto lasciarsi rilevare le impronte digitali. Tutto il processo si sarebbe risolto nel giro di dieci minuti”.
La lettera, in cui inserì una piccola parte della sua raccolta dattiloscopica, concludeva:
“La prego vivamente di voler prendere in benevola considerazione quanto esposto e mi permetto di chiedere se posso tentare questo procedimento anche in altre prigioni”.
Non andò bene, dopo dieci giorni arrivò la lettera dell’ispettore generale con la bocciatura della sua richiesta.
Herschel cadde in uno stato depressivo accantonando la sua scoperta per anni fino a quando nel 1879 si mise in viaggio per l’Inghilterra deciso a ritrovare la sua salute fisica ed anche quella “morale” facendo valere le proprie ragioni di quella che divenne in seguito la scoperta criminalistica più importante de XIX secolo. Una ragione che in seguito gli venne riconosciuta.
Si dovette riprendere anche moralmente perché l’ispettore generale avendo anche saputo dello stato cagionevole di Herschel gli scrisse:
“Tale proposta è senz’altro dovuta al suo stato di delirio febbrile”.