di Fabio Sanvitale e Armando Palmegiani
Otto duplici omicidi, moltissimi colpi esplosi: eppure, quello più importante di tutti è quello che non ha colpito nessuna vittima. Quello trovato nell’orto di Pacciani. La prova che, più di altre, incastrò il contadino di Mercatale. Prima di allora, erano stati recuperati proiettili e bossoli sulle scene del crimine. Un lungo, lento rosario che non faceva altro che confermare che, sì, ancora una volta aveva sparato la stessa arma. Beretta, calibro 22, serie H, probabilmente modello 73 o 74. Un’arma prodotta fino al 1980, usurata, come spiegarono i periti.
Era il 29 aprile 1992. In quella giornata mezza piovigginosa l’allora capo della SAM Ruggero Perugini trovò, negli spazi di un paletto di cemento interrato, una cartuccia: “….ho colto, nella luce del tardo pomeriggio, un brillio quasi impercettibile nella terra che riempie uno dei fori di quel mezzo paletto sopra il quale, un minuto fa, stava in piedi Paolo. Ciò che appena affiora dal terriccio è una parte di oggetto metallico….”.
Quel ritrovamento apparve subito strano, tanto è che ci furono anche dei dubbi da parte di alcuni Carabinieri presenti sul posto. Certo, sembrava davvero sospetto, chi potrebbe negarlo? Lo chiedo ad un esperto della Scena del Crimine come Armando Palmegiani: c’era da pensar male? “La cartuccia incrostata di terra, anch’essa calibro 22 serie H come quelle utilizzate dal ‘mostro’ – risponde Armando – venne comparata con i bossoli, rinvenuti sui luoghi degli omicidi e risultò compatibile. Ora, questa comparazione, estremamente minuziosa, effettuata dai periti Ignazio Spampinato e Pietro Benedetti, si basò esclusivamente su una serie di segni non perfettamente definibili, per esempio alcune microstrie lasciate, sulla cartuccia, dal bordo inferiore della faccia del carrello-otturatore in fase di estrazione dal caricatore; o su segni che riconducessero ad urti. Di certo, diranno i periti, la cartuccia era reduce da un inceppamento dell’arma dovuto, supporranno, all’accompagnamento della culatta-otturatore… in parole povere, la persona che la maneggiava aveva arretrato la culatta per caricarla, solo che invece di lasciarla l’aveva accompagnata nella sua corsa”.
E bastava questo per dare un giudizio di identità? “Sono tutti segni che comunque non sono esaustivi al fine della comparazione balistica, infatti i periti concluderanno di non poter formulare un giudizio di certezza; a questo va sommato il fatto che si andavano a comparare dei segni lasciati su un proiettile (mai sparato) con quelli presenti, invece, su dei bossoli esplosi e che quindi avevano subito una grande escursione termica con dilatazione del metallo. Ma la cosa più importante fu la perizia affidata al dr. Giancarlo Mei: in particolare si richiedeva di ‘individuare l’entità di fenomeni corrosivi connessi con l’interramento del proiettile stesso ed un’indicazione di massima del periodo di tempo di permanenza nel terreno’ ”.
Ecco, una perizia fondamentale, Armando… “Certo. Il perito, esperto proprio in leghe di rame, utilizzò il metodo della corrosione e in particolare del fenomeno della dezincificazione. Cioè la mancanza di zinco sul proiettile, dovuta alla corrosione della lega di ottone a causa dell’interramento, risultò di circa 0,2-5 micron rispetto una bibliografia che indicava in circa 20-25 quella dovuta a una azione corrosiva di 5 anni. Il perito concluse, allora, che il proiettile non era stato interrato per più di 5 anni. Come anche affermò lo stesso Mei, questa fu una analisi molto empirica, non era possibile determinare un periodo minimo di permanenza: le variabili presenti erano troppe”.
E quindi siamo da capo a dodici: come facciamo a stabilire da quanto tempo il proiettile se ne stava nell’orto di Pacciani?
“Fabio, facciamo un ragionamento inverso: se la cartuccia fosse stata messa appositamente lì per incastrare Pacciani? Diciamo intanto che si sarebbe dovuta mettere molto prima. A parte il tempo tecnico di permanenza – comunque c’era una dezincificazione già di circa 5 micron, no? – le immagini fotografiche del reperto estratto ci fanno vedere un proiettile abbondantemente incrostato. Non solo, anche disassato: per via dell’inceppamento. E con pochi segni esteriori, che infatti hanno dato problemi per le comparazioni balistiche, al punto che, come abbiamo visto, non risultarono esaustive.
Ora, io mi chiedo: perché inserire qualcosa nel terreno per incastrare Pacciani, quando la sua analisi non sarebbe mai stata sufficiente?”.
Risposta: perché chi ce l’ha messa non sapeva niente di dezincificazione e pensava bastasse lasciarla lì?
“Aspetta: ma poi, dove era stata presa quella cartuccia? Una tesi dei cosiddetti ‘complottisti’ ritiene che la cartuccia rinvenuta sia nient’altro che il reperto, mai catalogato, di uno degli omicidi precedenti. Ma a me viene da pensare come mai non l’abbiano fatta meglio, allora… Prendiamo per esempio l’omicidio Mauriot-Kraveichvili, l’ultimo: il giorno successivo, durante il sopralluogo, vennero rinvenuti, con l’ausilio del metal detector, altri 6 bossoli nella zona antistante la tenda. Bossoli incredibilmente non rinvenuti il giorno prima. Pur non entrando ora nel merito dell’assurdità di questo rinvenimento, in cui i bossoli misteriosamente riappaiono il giorno successivo, è senz’altro logico ritenere che è vero, la possibilità di trattenere un bossolo per incastrare Pacciani, beh, c’era. Ma allora, perché mettere una cartuccia pressoché anonima, una cartuccia come diecimila altre in giro, difficilmente ricollegabile ai delitti e, oltre questo, prendersi la briga di conservarla per qualche anno nel terriccio, prima di metterla in quell’orto? No, la teoria della cartuccia messa di proposito da qualcuno delle forze dell’ordine non tiene proprio”.
Sembra davvero assurdo che qualcuno se la sia tenuta nella terra per anni, per poi metterla nell’orto di Pacciani senza avere la certezza che sarebbe stata trovata. Quel pezzetto di metallo, comunque la vediamo, non è una prova definitiva contro Pacciani, anzi solleva più dubbi che altro. Ma, a proposito: il discorso dei proiettili, la loro importanza voglio dire, iniziò con la scoperta che la pistola che aveva sparato nel 1974 e nel 1981 era la stessa che aveva sparato a Lastra a Signa nel 1968 (omicidio Locci-Lo Bianco). Si è parlato di un articolo di giornale inviato da un anonimo, della memoria storica di un maresciallo dell’Arma, ma come è andata nella realtà? Come nacque il collegamento? “Guarda, questa parte della storia è stata risolta recentemente, grazie al ritrovamento di una relazione di servizio del Maresciallo Fiori, che non aveva partecipato alle prime indagini per l’omicidio di Barbara Locci ed Antonio Lo Bianco, perché in ferie. Dopo l’omicidio del 1982, però, parlando con l’Appuntato Ugo Piattelli – che confermerà l’episodio – ricordarono insieme quell’omicidio del 1968 e ipotizzarono un nesso. Ne parlarono con il Colonnello Dell’Amico che, a sua volta, ne parlò con il Giudice Istruttore Vincenzo Tricomi. In tutto questo va anche detto che il giudice ha sempre affermato di aver ricevuto il ritaglio, invece…ma questo pezzo di giornale, una volta cercato nei fascicoli, non è mai stato trovato. Forse, era solo una leggenda nel grande mistero del Mostro di Firenze…”.