E’ la notte del 7 gennaio 1992, alle 22. Nel parcheggio all’aperto del distributore di via Renon, a Bolzano, un ragazzo alto e baffuto con un sacco di problemi, si ferma in auto. Ha caricato poco prima, all’incrocio tra via Raiffesen e via Crispi, una prostituta, Renate Rauch, di 24 anni, tossicodipendente. Il padre di Bergamo sa che ha una collezione di coltelli, ma non immagina a cosa gli servano. Quella notte, servono per accoltellare 24 volte la povera Renate. Tutti i colpi, quasi tutti, sono sul lato sinistro del corpo, perché la Rauch viene colpita mentre era seduta in auto. Ha provato a difendersi, ma c’è poco da difendersi da quella furia veloce e definitiva. Bergamo non riesce a ricordare bene quello che è successo. Sa solo che ha ucciso la ragazza, di cui non sa il nome. Ma non si ferma. Il giorno dopo va a sciare a Valles. Sulla tomba della vittima lascia un biglietto: “Mi dispiace, ma quello che ho fatto doveva esser fatto e tu lo sapevi. Ciao Renate, M.M.”. In realtà Bergamo ha già iniziato a uccidere: il 3 gennaio 1985, Marcella Casagrande, 15 anni, uccisa in casa. Poi c’è una latenza di 7 anni prima del secondo delitto, senza nessun ospedale, carcere o manicomio che dir si voglia, come si crede. Per sua scelta.
Quando lo arrestano, nel 1994, passa alla storia come il Mostro di Bolzano. Un motivo c’è. Bergamo non ha ucciso solo la Rauch e la Casagrande, ma anche Annamaria Cipolletti, Renate Troger, Marika Zorzi. Tutte prostitute. Un ragazzone gentile, figlio unico, che lavora, riservato, che abita ancora coi genitori. Con precedenti di esibizionismo sessuale, ma di cui nessuno immaginava che sarebbe diventato un serial killer. In realtà Bergamo aveva un grosso problema con le donne e con la sua psiche, anche se verrà valutato perfettamente capace di intendere e di volere.
Dirà al processo: “Ho portato il biglietto sulla tomba della Rauch con un mazzo di fiori perchè ero pentito di quello che avevo fatto. Non so bene perché ho scritto il testo del biglietto. Quanto alle due iniziali, M.M., posso dire che la prima potrebbe corrispondere alle iniziali del mio nome; riguardo alla seconda, probabilmente è il frutto della mia fantasia, o forse ho voluto rimarcare la mia iniziale. Io non ce l’ho con le prostitute, perchè ognuno è libero di fare la propria vita”.
Marco Bergamo viene condannato all’ergastolo. Muore nel carcere di Bollate, a 51 anni, il 16 ottobre 2017.