Quando si parla di “delitti della stanza chiusa” si intende un filone narrativo di genere poliziesco che riguarda un omicidio, perché sempre di omicidio si tratta, che avviene in un ambiente ristretto e delimitato dove gli investigatori più che la difficoltà nello scoprire l’autore del fatto hanno quella di capire come sia avvenuto e in particolare come l’omicida sia riuscito ad entrare, ma soprattutto a uscire, dalla scena del crimine.
L’omicidio della stanza chiusa è di principio impossibile non potendo compiersi quindi rientra in quel sottogruppo della letteratura gialla che potremmo definire machiavellico.
Ma nella realtà? Sono mai avvenuti omicidi di questo tipo?
Scorrendo le cronache sembrerebbe che quello che più si avvicini a questo genere letterario sia l’omicidio, mai risolto, di Mara Calisti avvenuto il 14 luglio 1993 nella sua abitazione di Todi.
Iniziamo a vedere chi era la vittima, Mara. Era una ragazza di 36 anni con le idee chiare, indipendente, forse fragile dentro di sé (come ce la descrivono i suoi parenti), amava la montagna, cantava in un coro, amava la musica di Beethoven, aveva alcune frequentazioni più intime ma nulla di particolarmente rilevante e poi la politica dove era molto impegnata a sinistra.
Quella sera ospitò nella propria abitazione il padre che abitando in campagna ed era venuto a farle visita per qualche giorno. Com’era l’abitazione di Mara: entrando si ha un ingresso pressoché quadrato di circa 4 metri di lato che comunica a sinistra con la stanza da letto di Mara ed anteriormente con un piccolo corridoio che comunica a destra con la stanza dove quella notte dormiva il padre.
Quella sera dopo la cena (aveva cucinato il padre), venne a trovarli anche una vicina di casa, la signora Maria Latterini, successivamente il padre esce e va a fare visita alla cognata. Mara rimase a parlare con la sua amica fino a quando, alle ore 23.30 circa, il padre fa ritorno e poco dopo la Latterini va via e Mara con il padre vanno nelle proprie stanze.
Vediamo ora la sequenza temporale di ciò che accadde:
alle ore 1 e mezzo, circa, il padre si alza per andare a bere passando per l’ingresso vede la porta di Mara chiusa,
alle ore 2 e mezzo, rientra un inquilino nello stabile, non nota nessun particolare anomalo,
alle ore 3, circa, il signore che dorme al piano di sotto si sveglia ma non sente rumori,
alle ore 3 e 40 un ragazzo che abita vicino, soffrendo d’insonnia, scende in strada a fumare una sigaretta, non nota nulla di particolare e non vede uscire nessuno da quel portone,
alle ore 3 e 45, il signore che dorme al piano di sotto avverte un rumore sul suo soffitto, un tonfo.
È proprio a quell’ora che il padre sente aprire la porta della sua camera e vede la figlia entrare ed accasciarsi sanguinante sul pavimento mormorando: “Babbo, guarda cosa mi hanno fatto”. Prima di accasciarsi la ragazza, però, avrebbe acceso la luce visto l’interruttore che risulta imbrattato di sangue.
Il padre all’inizio pensa addirittura che Mara avesse un “pipistrello” attaccato sul petto e nel primo istante cerca di tranquillizzarla.
Ma non era così. Mara presentava una sola ferita all’emitorace destro di forma triangolare (dovuta per esempio a un punteruolo, un cacciavite) al livello della quarta costola. Il tramite (traiettoria) del colpo aveva una inclinazione marcata dal basso verso l’alto e leggermente verso il lato sinistro del torace.
La ferita aveva una profondità di 8 centimetri ed aveva lesionato l’aorta in due punti. Una ferita che aveva permesso alla vittima di rimanere cosciente per circa 30-50 secondi.
Mara indossava solo mutandine e reggiseno e, curiosamente, una grossa collana di corallo.
I soccorsi sono vani, Mara muore durante il trasporto in ospedale.
La finestra della sua camera è chiusa con la tapparella abbassata. Si trova, tra l’altro, al quarto piano, nella stanza non è stato asportato nulla, né la borsetta e nemmeno i gioielli, ben visibili. All’ingresso è presente il suo mazzo di chiavi sulla sedia nello stesso punto di dove l’aveva poggiato quando era entrata.
Le tracce di sangue
Analizzando le tracce di sangue nell’abitazione (che sopravvivono nonostante l’invasione dei condomini) si osserva che la teoria di gocce partiva dalla stanza di Mara (dove presumibilmente avviene il ferimento mortale) poi si nota una concentrazione appena fuori dalla porta della stanza. Le tracce proseguivano poi sul pavimento dell’ingresso concentrandosi di nuovo nella zona antistante la porta che conduceva nel corridoio (presumibilmente la porta in quel momento era chiusa) quest’ultimo presentava gocce di sostanza ematica sul lato destro, quasi a ridosso della parete, in quel piccolo tratto prima della porta della camera da letto dove dormiva il padre.
Le indagini
Si inizia ad indagare: nessun passato tumultuoso, nessuna persona che avrebbe potuto avercela con lei. C’è poi quel ragazzo che soffriva d’insonnia che non vede uscire nessuno e dato che tra l’altro nessuno ha sentito chiudere il pesante portone del palazzo, le attenzioni si concentrano sul padre, unico presente quella sera nell’appartamento.
Però non tornano diverse cose: a parte la mancanza del movente, l’arma utilizzata dove era andata a finire? E poi, se la ragazza è stata colpita nella sua camera (dato certo per via delle tracce presenti) come mai avrebbe attraversato il corridoio per entrare nella stanza del padre ed accendere la luce? Tante cose non tornano e poco dopo il padre verrà completamente scagionato.
Rimane difficile anche il pensare che Mara abbia fatto entrare un amico in casa, nessuno avrebbe sentito nulla? Nessuno che sente nella notte il citofono?
Mara sembrerebbe aver avuto una relazione con un uomo sposato più grande di lei (storia sempre negata dall’uomo) tra l’altro si parlò anche del fatto che la ragazza pochi mesi prima avrebbe interrotto una gravidanza. Ma perché avrebbe dovuto incontrare una persona a quell’ora con il padre in casa? Bastava aspettare il giorno successivo per avere la casa libera; e poi, ribadiamo, come sarebbe potuto entrare questo “amico” senza farsi sentire?
Suicidio? E l’arma? Proprio la mancanza dell’arma ha fatto escludere subito l’ipotesi del suicidio o dell’incidente con ferita autoinflitta.
C’è un altro particolare che non torna, in un cassetto della cucina ci sono tracce di sangue su dei sacchetti di carta.
Molto si è detto delle anomale tracce di sangue per precipitazione (le classiche gocce a terra dovute solo alla gravità) che tra l’altro non sono state calpestate dai piedi della ragazza stessa. In una puntata di “Blu Notte” viene presupposta come spiegazione che la ragazza fosse stata accidentalmente colpita da un individuo (fatto entrare proprio da lei) e poi lo stesso l’avesse presa in braccio fino a trasportarla alla stanza dove si trovava il padre per poi, successivamente, fuggire.
Però pure questa ipotesi non torna, dove sarebbe fuggito l’ignoto assassino? La finestra era chiusa e nessuno lo vede uscire dal portone o sente rumori riconducibili ad una fuga. E poi perché avrebbe portato la ragazza in braccio fino alla soglia della camera del padre? Come avrebbe fatto a fuggire senza calpestare alcuna impronta?
Il mistero della camera chiusa ha colpito ancora.
E se fosse successa una cosa diversa?
Solo come ipotesi. Quella notte Mara nella sua stanza forse si sta preparando per uscire di nuovo ed ha un incidente cadendo, per esempio, su un cacciavite. Magari prima di uscire voleva proprio stringere la collana che indossava. Tra l’altro, qualunque ricostruzione che venne fatta prevedeva, vista la traiettoria eccessivamente incidente dal basso verso l’altro, che il ferimento fosse accidentale.
Esce, quindi, dalla stanza e si porta nella camera del padre, in questo tragitto proprio la ferita, posizionata nella parte destra del torace, induce Mara ad appoggiarsi alla parete destra, ecco come mai gocce sono rasenti alla parete del corridoio e non verranno calpestate.
Apre la porta e dice la frase “Babbo, guarda cosa mi hanno fatto”: ricordiamoci però che con questa frase sveglia il padre, non c’è la certezza che le parole siano state esattamente quelle.
A questo punto il padre la soccorre, e succede quello che viene definito il cortocircuito.
L’arma è ancora conficcata, il padre ricordiamo intravede qualcosa e pensa ad un pipistrello, e viene tolta prima dei soccorsi. Chi può essere stato? Il padre o, meno probabilmente, uno degli inquilini del palazzo che sono accorsi, dopo aver sentito le prime grida di aiuto. Chi l’ha estratta adesso ha paura, potrebbe aver lasciato le impronte e quindi la ripone nel cassetto della cucina, ecco come si spiegano quelle tracce di sangue. Poi la porterà via in un secondo momento e quell’arma impropria sparirà per sempre.
Possibile?
Il dividere in due fasi “azione del ferimento” e “occultamento dell’arma” permette di spiegare diverse cose, come il fatto che Mara non abbia gridato (se era stata aggredita sicuramente l’avrebbe fatto), che indossasse una collana, le tracce di sangue nel cassetto della cucina, l’anomala teoria delle tracce a terra, ecc.
Come sempre accade nei delitti “della stanza chiusa”, la soluzione logica del giallo, anche se all’inizio impensabile, alla fine deve sempre esserci.