L’Hikikomori in tempi non sospetti e ottant’anni anni dopo. (parte 1)

da | Ott 21, 2021 | Psicologia

L’Hikikomori in tempi non sospetti e ottant’anni anni dopo. (parte 1)

da | Ott 21, 2021 | Psicologia

Il fenomeno di ritiro che ha coinvolto i giovani giapponesi ormai noto come “hikikomori”, si colloca al crocevia tra lo psicologico, il sociale ed il comportamentale, non senza suscitare curiosità da parte degli addetti ai lavori di tutto il mondo.

  1. È forse dovuto ad una nuova forma di transizione verso l’età adulta (HAMASAKI 2017)?
  2. Qual è il peso della componente psicopatologica (KOYAMA 2010)?
  3. trattasi di rifiuto di una diagnosi psichiatrica (FANSTEN 2014)?

Qualunque siano le giuste considerazioni, questa condotta rientra nelle strategie di ritiro e di ribellione, di rinuncia al processo di crescita e di autonomia e di auto-sabotaggio.

La descrizione è quella di adolescenti e giovani adulti francesi (GUEDJ 2017) compresi nella fascia di età 14/ 25 anni, che si trovano in isolamento da almeno 6 mesi, (coreani e cinesi (LI,  WONG 2015) ritengono sufficiente un periodo di 3 mesi durante i quali il fenomeno si stabilizza diventando osservabile).

Questi ragazzi trascorrono la maggior parte del loro tempo a casa, evitando qualsiasi partecipazione sociale solitamente significativa (studio, rapporti di lavoro), non avendo o non vedendo più amici e conoscenti. Non sembrerebbero affetti da disabilità fisica o da una patologia psichiatrica precedentemente diagnosticata. L’uso smodato di Internet non è più considerato una causa e nemmeno un fenomeno da arginare, ma è associato al confinamento e come naturale conseguenza dello stesso. Le relazioni interpersonali più o meno coinvolgenti vengono mantenute a discrezione del soggetto e attraverso lo schermo del pc: chat; videochiamate; corsi interattivi a distanza; giochi con vincite in denaro, giochi di ruolo; autodidattica che non includa il dover entrare in relazione con qualcuno.

Se è confortante oggi conoscere gli hikikomori quantomeno per poter dare un nome alla condotta di isolamento e di ritiro di molti giovani, sappiamo inoltre dagli studi fatti e dalle molteplici segnalazioni, che il fenomeno non è confinato al solo Giappone. Negli ultimi 20 anni se ne è osservata un’espansione in diversi paesi. In questa sede, prenderemo  l’analisi del fenomeno in Francia:

GAYRAL 1953 scrisse un articolo intitolato “Claustrazione e casa”. Per più di 60 anni, usando questa terminologia “monastica”, il confinamento domiciliare è stato oggetto di studio in Francia. Sebbene all’epoca la diagnosi di schizofrenia fosse spesso menzionata, gli aspetti sociali e ambientali del fenomeno sono sempre rimasti in prima linea. Si pensa all’isolamento come ad “un conflitto tra il malato e il mondo originario”, “testimone di un grave disadattamento, legato ad una profonda regressione mentale e a un potente dinamismo antisociale” a cui si aggiunge il “costante rifiuto di vedere un medico”.

La riflessione sulla dimensione antisociale di questa condotta ha sempre dominato la ricerca diagnostica.

LUAUTHE 1975 ha presentato alla Società Medico-Psicologica “Un caso di ritiro sociale in un paziente psicotico”. Nonostante il titolo, si evince dalla presentazione la messa in discussione di questa diagnosi. Egli fa notare che “la diagnosi di schizofrenia è stata fatta in assenza di un’altra più accurata”. L’autore introduce e valorizza l’idea di “disturbo di identificazione genitoriale” attraverso l’analisi delle varie generazioni nella famiglia del paziente e la ricerca di un senso transgenerazionale a questa condotta di isolamento.

L’osservazione di Claude, un paziente di Luauthe, ricorda molti tratti dell’hikikomori di oggi: egli presentava un’infanzia e un’adolescenza normali, scarsa autostima, pensiero logico e uso preciso del vocabolario tecnico, esistenza di una quotidianità ritualizzata, clinofilia (difficoltà di alzarsi la mattina), restrizioni alimentari, preoccupazioni sul funzionamento corporeo, abolizione di ogni desiderio anche di tipo sessuale, completa assenza di senso dell’umorismo che spesso rendeva il soggetto vittima di scherno. Le analogie con l’Hikokomori sembrano essere numerose. Nel 1975 se ne sapeva davvero poco e l’immagine dell’adolescente o giovane adulto isolato, passava attraverso i racconti che circolavano da vicini e parenti sulla famiglia del ragazzo, e da un quadro psicopatologia che la figura materna aveva difficoltà a percepire.

Un caso del genere oggi incuriosisce. Soprattutto quando il numero di hikikomori è in crescita.

LEBEAU 1984 nella sua tesi dal titolo “Les claustrations” descrive 22 casi di persone totalmente ritirate dalla società. Egli incoraggia come tecnica d’intervento la visita domiciliare da parte di uno specialista in psichiatria. Unica modalità di accesso al paziente in isolamento. Anche se spesso la diagnosi è gravei, i casi di isolamento da parte di altri significativi sono considerati correlati ai casi di “claustrazione”.  Questo punto merita di essere sottolineato. Infatti, molti giovani confinati tra quattro mura, riferiscono di sentirsi mentalmente vincolati dal loro entourage e/o dalla società stessa.

Dalla teorica inclusione sociale emerge il fenomeno contrario dell’esclusione.

JEAMMET 1984 descrive l’analogia tra “comportamenti di ritiro adolescenziale” e la condizione di isolamento che coinvolge giovani tra i 20 e i 30 anni. Egli evidenzia una rottura improvvisa e insidiosa con lo stile di vita precedente all’isolamento, con o senza fattori scatenanti, con o senza la possibilità di fare una diagnosi.

A quel tempo ci si limitava definire il fenomeno una “psicosi bianca”. Termine che designa un disturbo psicotico non delirante alla base di una condotta disfunzionale.

Nonostante se ne parli molto, la richiesta di aiuto dei genitori di ragazzi hikikomori può richiedere diversi mesi o addirittura anni. Quando incontriamo il giovane hikikomori, osserviamo una situazione piena di paradossi. Una passività attivamente rivendicata, una non-azione sostenuta e talvolta violentemente difesa, un disinvestimento palese e attivamente perseguito. L’analisi di questi comportamenti mostra la coesistenza di un’importante quota di aggressività nei confronti di un genitore e al tempo stesso di un’estrema dipendenza dallo stesso.

Un’ambivalenza che si risolve in molti casi con il rifiuto al confronto e ricorrendo all’isolamento come soluzione definitiva.

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