La notte in cui il Mostro di Firenze si sbagliò

da | Giu 19, 2021 | News

La notte in cui il Mostro di Firenze si sbagliò

da | Giu 19, 2021 | News

Era la sera del 19 giugno 1982. Faceva caldo e Antonella e Paolo, fidanzati da anni, avevano deciso di appartarsi. Erano gli anni del Mostro di Firenze, la paura c’era. Ad ogni buon conto, Antonella e Paolo deciseno di passare un paio d’ore in piazza del Popolo (siamo a Montespertoli) e poi di appartarsi presto (sono le 22.30 quasi), ma sopratutto di farlo in una piazzoletta e pochi metri dalla statale, la via Virginio Nuova, che da Baccaiano porta a Fornacette. Sono 5 km di strada, i ragazzi ne fanno meno di 1 da Baccaiano, sulla Fiat 147 bianca di Paolo. La piazzoletta è a vista dalla strada, il rischio insomma è zero.

Lui è meccanico, lei operaia in una ditta di confezione. Due ragazzi robusti, la notte ormai scesa, la voglia di fare l’amore: è l’inizio di uno dei più anomali capitoli della storia del Mostro di Firenze. Non sappiamo se si fosse appostato in quella piazzola e stesse aspettando, come il ragno nella tela. Non sappiamo se sia passato al volo e abbia colto l’occasione, visto che erano visibili dalla strada. Più la prima, perchè ci sono tre testi (Campatelli, Del Mastio e Carletti) che vedono, passando nella loro Simca, l’auto nella piazzola alle 23.40. Non incrociano nessuno, nessuno li precede. La luce dell’abitacolo della Fiat bianca è accesa, i vetri appannati. Sappiamo però che qualcosa va storto: l’assassino si avvicina all’auto quando loro, infatti, hanno già terminato il rapporto e il primo colpo su di lui riesce solo a ferire Paolo alla spalla sinistra, che anzi reagisce ingranando disperatamente la retromarcia e curvando per guadagnare la statale. E’ il panico. Il panico fa brutti scherzi.

 

 

Sono passati 5 minuti, sono le 23,45 ed è già successo tutto. Ora la Fiat è di traverso sulla carreggiata, sporge col muso ma ha le ruote posteriori completamente bloccate nel fosso che scorre di lato alla strada. I due ragazzi sono dentro. Antonella è morta, Paolo agonizza. Altri testi arrivano quasi contemporaneamente: hanno sentito colpi di pistola. E’ successo che l’auto dei tre testi ha proseguito la corsa e ne ha incrociata un’altra di amici, circa un minuto dopo. E’ successo che nella foga Paolo ha esagerato la manovra e si è infossato. L’assassino li ha seguiti, ha sparato ai fari dell’auto per non essere accecato, poi ha sparato a loro. Non è che ci volesse un tiratore esperto, la distanza era di pochi metri. Bastava un tiratore discreto, non un cecchino. Stavolta non c’è tempo per le escissioni, stavolta è andata male. L’assassino fugge. L’auto che è stata incrociata, la numero due diciamo, impiega un altro minuto per trovare la Fiat nel fosso. Il duplice omicidio e la fuga sono avvenuti dunque in meno di 2 minuti di orologio, viste le diverse velocità dei veicoli. E l’auto dell’assassino non era parcheggiata sulla statale: no, non è arrivato da lì.

Se guardiamo a questa serata ci accorgiamo che anche un serial killer può sbagliare, quando il suo piano preciso e metodico inciampa nell’imprevisto di una reazione, forse di una scena del crimine non felice, forse di una piccola indecisione. Ma ci sono due morti. Molti anni dopo, il pirotecnico Gianfranco Lotti, uno dei Compagni di Merende amici del Pacciani, scriverà pagine memorabili di narrativa fantasy su quella notte: Pacciani che spara, lui sulla statale a fare il palo (nessuno dei testi lo vide) e altre facezie.

Il Mostro di Firenze era un uomo freddo, preciso: s’è visto quella notte. Ricordo le foto di quella scena del crimine. Un bianco e nero esploso dai flash della Polizia. Antonella sul sedile posteriore, dietro il sedile del passeggero, vestita, con le scarpe ai piedi. La leva del freno tirata. La luce dell’abitacolo, accesa (ecco come ha centrato i ragazzi nel buio!). Otto i colpi esplosi contro l’auto, otto i bossoli che ora sono tra i 2 metri e mezzo e gli 11 metri dalla macchina, sul nero asfalto. Antonella e Paolo non ce l’avrebbero mai fatta: erano bersagli perfetti. Due colpi in testa a ciascuno. Mi cadde l’occhio sulla cinta bianca della gonna di lei: non aveva fatto in tempo a riallacciarla. Il funzionario in notturna della Questura di Firenze, intervenuto quella notte, era il dottor Ruggero Perugini: non immaginava lontanamente che un giorno si sarebbe ritrovato a capo della Squadra Anti Mostro e che avrebbe dato lui la caccia al serial killer, mettendoci la faccia.

Sperammo che per quell’anno il serial killer si sarebbe saziato. Non fu così.

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