Il dolore della perdita di un figlio è sordo, infinito, un buco nero, e le madri più fortunate sono quelle adeguatamente supportate, che possono iniziare ad addomesticare quell’intenso dolore sin da subito.
Il loro bambino deve essere dato al mondo comunque.
Quanto poco clemente può essere la natura di fronte ad un dolore così intenso e devastante che fa perdere momentaneamente il significato dell’andare avanti…
In questi momenti è fondamentale una rete di sostegno competente, rispettosa, saggia. Una rete in grado di supportare e accompagnare una madre nel suo lutto. Devono sapere bene cosa sia la nascita, il lutto, la rinascita.
Un tuffo indietro in quel passato adolescenziale in cui il proprio corpo non viene riconosciuto, in cui la continua costruzione e ricostruzione della propria identità in funzione delle numerose trasformazioni dell’adolescenza è necessaria. Un lavoro faticoso, snervante, in un primo momento negherà l’accaduto, poi sarà la volta di un’intensa rabbia utilizzata come difesa dalla sofferenza. Con il tempo giungerà al patteggiamento, un tentativo di reagire al sentimento di impotenza in cui lei negozierà con se stessa, mettendo sul piatto della bilancia quelle che sono le sue risorse per trovare risposte e soluzioni. La depressione si farà strada nel naturale decorso del processo di lutto, ma è un passaggio obbligato, da non temere, solo attraversandolo porterà questa mamma verso la consapevolezza e l’accettazione della perdita.
Dopo l’esplosione il corpo va ri-conosciuto. Deve essere accolta quella donna ora così fragile. Il lutto perinatale è un trauma, un traditore.
Bisogna imparare a fidarsi di nuovo di quel corpo, fare appello alla resilienza e con coraggio affrontare la catastrofe per addomesticarla. Non bisogna metterla a tacere poiché resterà nell’ombra come una minaccia pronta a riaffiorare, bensì addomesticarla.
Occorre accettare l’evento come parte integrante della propria esistenza, fa parte di sé e non può essere escisso. Quella madre porterà dentro di sé quanto accaduto ma saprà anche che basterà volgere il proprio sguardo su ciò che la tormenta per non permettere alla paura e alla tristezza di prendere il sopravvento.
Accettare e non negare.
Noi siamo ciò che abbiamo vissuto, il risultato di storie belle, tristi, emozionanti, orribili, lutti, nascite, sofferenza, amore, odio e potremmo andare avanti all’infinito.
Non siamo la semplice somma di elementi ma una melodia che nasce dall’intreccio di tutte le emozioni che ci hanno accompagnato dal primo giorno della nostra esistenza. Siamo il risultato di una trasformazione continua. Siamo in divenire.
E così ha inizio il processo rigenerativo. Quella madre dovrà tenere il suo corpo al centro della sua attenzione, consentirgli di riprendersi uno spazio, un senso. Dovrà ricostruire un ponte tra passato e presente, sentirsi un tutt’uno.
La rigenerazione inizia prima di tutto da quella madre e dal suo corpo, nel qui ed ora. E quando si sa di aver fatto il possibile, chiedere aiuto è sinonimo di consapevolezza.
Da professionista il mio ruolo è quello di essere presente nel qui ed ora e accompagnare questa mamma nel lutto, entrambe impegnate in un processo ri-elaborazione, di co-costruzione di significati. Un processo di cambiamento. Ci vorrà pazienza e tempo, investimento e motivazione. Il lutto di un figlio si supera.