di Pamela Nardi
Ci troviamo nella Modena degli anni ’80 e ’90. In questo decennio è ricordata come una città segnata dalla droga e dalla prostituzione. Da un’intervista fatta ad un Sex Worker, che lavorava a Modena in quegli anni, è emerso come alcune donne si prostituissero per lavoro mentre altre, di cui molte particolarmente giovani, si prostituissero esclusivamente per guadagnare i soldi necessari ad acquistare droga. In quel periodo l’eroina era la sostanza maggiormente consumata e Modena costituiva un crocevia ideale per il traffico e lo spaccio, in quanto la posizione nel cuore dell’Emilia-Romagna ne faceva un punto strategico fondamentale.
In questo contesto si inseriscono gli omicidi, tutt’ora irrisolti, di otto prostitute tossicodipendenti avvenuti tra il 1985 e il 1995 attribuiti al presunto “Mostro di Modena”.
È importante sottolineare come la suggestione dell’esistenza di un Serial Killer non sia stata data solo dalla tipologia delle vittime, ma anche dalla ciclicità con cui sono avvenuti gli omicidi; infatti, in maniera più o meno stabile sono stati compiuti a cadenza biennale. Il primo che diede voce a questa teoria fu il giornalista Pier Luigi Salinaro, che lavorava presso la Gazzetta di Modena e si occupò in prima persona dell’intera vicenda.
La prima vittima: Giovanna Marchetti
Nata l’8 luglio 1967 a Mirandola, risiedeva a Medolla, in provincia di Modena, con la famiglia composta dal padre agricoltore, dalla madre e il fratello maggiore.
Giovanna fu vista l’ultima volta il 12 agosto 1985 dal fidanzato Giuseppe Volpe che si appostava nei luoghi ove la fidanzata si prostituiva per annotarsi su un taccuino le targhe dei veicoli dei clienti. Data la frequenza dei suoi allontanamenti nessuno ne denunciò la scomparsa. Il suo cadavere fu ritrovato il 22 agosto 1985 vicino alla fornace di Baggiovara, in avanzato stato di decomposizione, causa il forte caldo e i danni causati dalla fauna selvatica. Nelle adiacenze venne ritrovata una pietra coperta di tracce ematiche, che risultò essere l’arma del delitto; dato confermato dall’autopsia che attestò la causa della morte per sfondamento cranico.
Non fu rinvenuta la borsetta della vittima contenente i suoi documenti ed oggetti personali.
Giuseppe Volpe si recò dagli inquirenti consegnando il taccuino recante le targhe annotate, da cui emerse che quella sera Giovanna salì su una Ford targata Reggio Emilia che risultò appartenere ad Ennio Cantergiani, agricoltore. L’uomo venne in seguito prosciolto per mancanza di prove.
Lo stesso Volpe venne indagato ma anch’egli fu prosciolto dopo poco tempo.
La seconda vittima: Donatella Guerra
Circa due anni dopo, il 12 settembre 1987 venne rinvenuto il corpo seminudo di Donatella Guerra, presso le Cave di San Damaso. Dall’autopsia emersero un rapporto sessuale pre-mortem, ferite da punta e taglio al collo e all’altezza del seno destro che raggiunsero il cuore. Il coltello utilizzato fu rinvenuto dai carabinieri in un casolare nei dintorni.
Anche in questo caso non venne rinvenuta la borsetta e poi non vennero rinvenute molte tracce ematiche, il punto del rinvenimento risultava compatibile più con una scena del crimine secondaria, presumibilmente il cadavere vi era stato portato. Furono anche rinvenute impronte di pneumatici, di una Fiat 131 e un’impronta di una scarpa.
Non furono eseguiti approfondimenti sulla traccia di pneumatico però si poté ricondurre la suola della scarpa ad un solo calzaturificio di Modena, in quanto il proprietario della ditta che lo riforniva contattò la trasmissione “Telefono Giallo” per dare conoscenza di questo dato. Nemmeno tale elemento fu attenzionato ulteriormente ma si poté supporre dalla profondità dell’orma che il soggetto era leggermente claudicante.
La terza vittima: Marina Balboni
Il corpo di Marina fu ritrovato il primo novembre 1987 a distanza di un mese e mezzo dalla morte di Donatella Guerra. Fu ritrovata in un canale sulla strada che da Carpi portava a Gargallo (Mo). Dall’esame autoptico emerse che la vittima ebbe un rapporto sessuale e venne successivamente strangolata con lo stesso foulard che portava quella sera.
Tra i vari elementi di rilievo emersi dalle indagini, spicca il rapporto di conoscenza che legava Marina e Donatella Guerra, tanto che Armando Balboni (padre di Marina) dichiarò in un’intervista che quando aveva informato la figlia della morte di Donatella ebbe una risposta molto particolare: “Spero che non facciano fare la stessa fine anche a me”. Va sottolineata la breve distanza temporale tra i due omicidi e il fatto che Marina si stesse prostituendo in Piazza Roma nel centro di Modena la sera della scomparsa di Donatella. I coniugi Balboni dichiararono inoltre che la figlia che nei giorni antecedenti il decesso ripetesse insistentemente di doversi assolutamente recare a Modena quel sabato poiché aveva un appuntamento importante. Marina annotava tutta la sua vita su dei diari ma questi non furono mai repertati.
Sul luogo del delitto non venne rinvenuta la borsetta e il caso, dopo poco, fu archiviato.
La quarta vittima: Claudia Santachiara
Il corpo di Claudia Santachiara fu rinvenuto il 30 maggio 1989 all’inizio dell’autostrada del Brennero. Fu ritrovata nuda, con i collant abbassati e un cappio stretto intorno al collo che le aveva creato un solco nella pelle. In sede autoptica, sotto alle unghie, fu rinvenuto del DNA non appartenente alla vittima, riconducibile a un tentativo di difesa durante l’aggressione ed anche in questo caso la vittima prima di morire aveva avuto un rapporto sessuale.
Il pomeriggio del 30 maggio 1989 un soggetto conosciuto dalle forze dell’ordine dichiarò di aver visto Claudia quella sera e di essersi appartato con lei, senza però intrattenere un rapporto sessuale, le avrebbe poi infilato nella borsetta, prima di salutarla, 50 mila lire. Raccontò, inoltre, che la vide a seguito della morte e nella sua borsetta non erano più presenti i soldi che gli aveva dato. Gli inquirenti cercarono di comprendere come fosse venuto in possesso di tale informazione in quanto sulla scena del crimine non fu rinvenuta la borsetta. Il soggetto in questione non rivelò mai come riuscì ad ottenere tale informazione. Corrado Augias, l’allora conduttore della trasmissione “Telefono Giallo”, fece un’intervista all’ultimo testimone nella quale riportò le medesime informazioni dichiarate anche agli inquirenti. L’intervista fu registrata ma il nastro non andò mai in onda e venne successivamente distrutto. La distruzione del nastro venne disposta, si disse, dall’ambiente politico di Modena, un’accusa all’epoca certamente pesante che però non fu mai smentita.
Tale soggetto, successivamente fu aggredito brutalmente e poi messo in protezione all’interno di una struttura.
Successivamente, il 13 giugno 1989 fu arrestato Tommaso Nunzio Caliò, un soggetto con precedenti per abusi sessuali e seguito dal Centro di Salute Mentale di Modena. Fu arrestato in seguito alla dichiarazione di una prostituta che raccontò che al termine della prestazione sessuale l’uomo per rapinarla cercò di strangolarla. Gli inquirenti pensarono di aver trovato “Il mostro di Modena” e fecero comparare il DNA rinvenuto sotto le unghie della Santachiara con quello del Caliò, che purtroppo diede esito negativo. A quel punto venne archiviata la posizione dell’uomo per quanto riguarda i precedenti delitti.
1° parte