Il Mostro di Modena seconda parte
Di Pamela Nardi
La quinta vittima
Il corpo di Fabiana Zuccarini fu rinvenuto il giorno 8 marzo 1990 all’interno di un fosso a Staggia di San prospero in provincia di Modena. Sul corpo della vittima vennero rinvenuti segni compatibili con uno strangolamento. Fu ritrovata vestita, senza però le scarpe e le calze. Sul corpo non vennero rinvenuti segni di un rapporto sessuale pre-mortem. Fabiana, a differenza delle altre vittime, non si prostituiva per procurarsi i soldi per la droga. Non venne rinvenuta la borsetta ma venne ritrovato e repertato un mozzicone di sigaretta che però non fu mai analizzato.
Dalle dichiarazioni dei genitori emerse che Fabiana, la sera della scomparsa, aveva un appuntamento importane a Modena con un uomo soprannominato “Lo zio ricco”. L’uomo venne poi identificato ma sembra avesse un alibi di ferro. A quel punto le indagini si indirizzarono verso il mondo della droga ed emerse, dalle dichiarazioni di un amico stretto della vittima, che la settimana antecedente la morte Fabiana avrebbe dovuto fare da scorta a un carico di Eroina da Bologna a Modena. Anche tale pista tuttavia non portò a nulla.
Successivamente il padre di Fabiana ingaggiò un investigatore privato e si scoprì che la sera del 7 marzo Fabiana si trovava in un bar a san Felice sul Panaro e il proprietario del bar la vide parlare con un uomo del posto, che venne poi successivamente identificato. Dichiarò di averle dato un passaggio ma di averla lasciata a Rivara, una frazione del comune di San Felice. Gli inquirenti effettuarono una perquisizione nell’abitazione di tale soggetto e fu rinvenuta una penna che i genitori riconobbero appartenere a Fabiana. Le indagini quindi si veicolarono verso questo soggetto che però il giorno 11 settembre 1991 morì in un incidente stradale e quindi il caso venne archiviato a causa del decesso del presunto reo.
La sesta vittima: Anna Abruzzese
Il corpo di Anna fu rinvenuto il giorno 4 febbraio 1992 all’interno di un fosso nei pressi di San Prospero. Rispetto alle altre vittime che avevano quasi tutte una ventina d’anni Anna era più grande ne aveva 32. Il cadavere si trovava in 30/40 cm d’acqua, presentava numerose coltellate al ventre e lesioni da difesa sulle braccia e sulle mani, in sede autoptica furono trovate tracce dove venne estrapolato del profilo genetico che però non trovò nessun riscontro. Furono rinvenuti sul terreno segni compatibili con uno trascinamento del corpo, fu uccisa altrove e poi gettata nel fosso. Sul luogo non fu rinvenuta la borsetta.
Durante le indagini fu individuato il proprietario di una vettura su cui Anna fu vista salire dal suo fidanzato, ma l’uomo riferì di averla ricondotta davanti alla stazione dopo aver terminato la prestazione: tale fatto fu confermato da una prostituta presente. Fu proprio quest’ultima a dichiarare che qualche sera antecedente la morte, vide alcune persone caricare Anna con forza su un’auto Giulietta di colore scuro. Emerse che tali soggetti cercarono di rapinare lei e un’altra prostituta per pareggiare un conto legato alla droga, ma sebbene gli individui furono identificati, non emersero elementi di collegamento con la morte di Anna, portando così all’ennesima archiviazione del caso.
La settima vittima: Annamaria Palermo
Il corpo di Annamaria Palermo fu ritrovato il 26 gennaio 1994 all’interno di un canale a Corlo in provincia di Modena. Annamaria fu uccisa con 12 coltellate al petto, non vennero rinvenuti segni compatibili con un rapporto sessuale pre-mortem e sotto al corpo fu rinvenuta la borsetta.
In questo caso gli inquirenti individuarono un presunto colpevole: un ex ciclista professionista, legato al mondo dello spaccio di droga e al quale sembrerebbe che Annamaria avesse sottratto un grande quantitativo di droga. Dalle testimonianze di alcune prostitute si poté collocare Annamaria la sera del 25 gennaio all’interno della vettura di tale soggetto, su cui fu vista salire tenendo inoltre i capelli legati, pettinatura che portava anche quando fu rinvenuta cadavere. Un ulteriore testimone descrisse l’auto sulla quale vide salire Annamaria, precisando che le prime lettere della targa erano “PR”, le stesse lettere della targa del soggetto sopra indicato. Quella sera l’ex ciclista fu poi visto in un ristorante in compagnia di una ragazza che secondo il magistrato era proprio Annamaria Palermo. Un ulteriore testimone raccontò che già da alcuni giorni l’ex ciclista stesse cercando la ragazza a causa del furto di droga.
Purtroppo, trattandosi di prove indiziare il processo contro tale soggetto si concluse con l’assoluzione per non aver commesso il fatto.
Nei due anni antecedenti il processo dell’ex ciclista le indagini andarono avanti e gli inquirenti presero in considerazione la dichiarazione di Don Giancarlo Suffritti, all’epoca sacerdote responsabile di una comunità di recupero. Questi, dichiarò di aver saputo da una sua utente che durante il periodo in cui si prostituiva dovette eseguire una prestazione sessuale sotto la minaccia di un coltello da parte di un individuo. Successivamente, la ragazza disse al sacerdote, rivide tale soggetto e lo denunciò, riferendo che quest’uomo si credeva un giustiziere tra le ragazze tossicodipendenti e che quindi poteva essere stato lui il responsabile dei precedenti omicidi. Dopo tali dichiarazioni però Don Suffritti dichiarò di essere stato minacciato da soggetti sconosciuti e quindi di non aver avuto più contatti con la sua utente. L’uomo che descritto non fu mai identificato e quindi il caso venne successivamente archiviato.
L’ottava vittima: Monica Abate
Il corpo di Monica, che viene considerata l’ultima vittima del mostro di Modena, fu rinvenuto, all’interno della sua abitazione il 3 dicembre 1995. Fu la coinquilina di Monica ad avvisare la madre in quanto non riusciva ad entrare in casa poiché la porta sembrava chiusa dall’interno e Monica che aveva sentita poco prima al telefono non le rispondeva più.
Una volta entrati, con le chiavi che aveva la madre, venne rinvenuto il corpo di Monica riverso sul letto, con una siringa infilata nel braccio sinistro. Il primo sanitario ad intervenire sul luogo fu il medico di base che ipotizzò una probabile overdose come causa della morte. La polizia intervenuta successivamente non chiese l’intervento del medico legale.
Una serie di anomalie rilevanti caratterizzano questa vicenda: l’esame autoptico fu eseguito dal Dott. De Fazio, medico legale noto anche per le sue autopsie effettuate nell’ambito delle vittime del Mostro di Firenze, che smentì la morte per overdose, Monica morì soffocata, con una mano premuta sulla bocca e sul naso con conseguente frattura dell’osso iode. Si stabilì quindi che la siringa venne posta sul braccio di Monica post-mortem come tentativo di depistaggio, un vero e proprio staging. Sotto le unghie furono ritrovamenti dei frammenti di pelle, presentava diverse ecchimosi e contusioni sulle mani. Tra l’altro la collocazione della siringa destò fin da subito sospetti nella madre in quanto, era a conoscenza della tossicodipendenza della figlia, ma sapeva che si bucava sotto ai piedi e non sulle braccia.
A seguito della relazione medico legale il pubblico ministero fece analizzare l’appartamento: nel pattume fu ritrovato un preservativo usato e sul pianerottolo vennero rinvenute delle tracce ematiche.
Attraverso l’analisi del cellulare della vittima venne stilata una lista di otto sospettati, tra cui la coinquilina, a cui appartenevano le tracce ematiche sul pianerottolo. Venne indagata per omicidio volontario ma dichiarò che quelle tracce erano presenti in quanto lei, nell’attesa dell’arrivo della mamma di Monica, aveva consumato una dose di eroina. Nel novembre del 97 la coinquilina fu prosciolta.
Un amico di Monica dichiarò di averla accompagnata a casa quella sera e di averla lasciata davanti al portone da sola alle 04:00 del mattino.
Un fatto singolare, e mai pienamente chiarito, della vicenda risulta essere la presenza di un’auto della polizia vicino all’appartamento che era già parcheggiata da diverso tempo prima che la madre chiamasse le forze dell’ordine che però non intervenne sulla scena.
Sul registro degli indagati vennero successivamente iscritti i nomi di due poliziotti che avevano avuto dei contatti con Monica, uno dei due aveva anche precedenti per favoreggiamento alla prostituzione. Fu accusato di aver accompagnato Monica e un’amica sui viali passando loro anche qualche dose di eroina. Il DNA dei due poliziotti indagati fu comparato con quello rinvenuto sotto le unghie di Monica ma l’esito fu negativo.
Questa situazione provocò diverse iniziative che finirono con due interrogazioni parlamentari nel quale si parla di “Interferenze” e “depistaggi” e di un’ipotesi investigativa inspiegabilmente lasciata cadere che avrebbe avuto a riscontro “un’ambiente” di contiguità tra l’uccisa e singoli esponenti di pubblica sicurezza con pratiche di sesso e droga.
La Procura di Bologna invio a Modena il Sostituto Procuratore Vito Zincani che creò un database riportando tutte le informazioni dei vari delitti per portare alla luce possibili omissioni. Le indagini non ebbero nessun riscontro e il caso fu archiviato.
Zincani nel 2008 tornerà a Modena da procuratore capo e dichiarerà in un’intervista accettando di parlare del lavoro svolto in precedenza, che alcuni esponenti della Polizia e dei Carabinieri furono al tempo arrestati per abuso di potere ed interferenze ambientali anche se nel 1998 le indagini compiute non furono esaurienti lasciando aloni di leggerezza, superficialità e tanti buchi neri sulla vicenda.
Il procuratore non sposò mai al cento per cento l’idea di un unico serial killer per tutti i delitti, anche lo stesso professor Francesco De Fazio in uno studio comparato affermò:
“Non può essere possibile delineare una tipologia unitaria d’autore non basando pertanto la tipologia pressoché unitaria delle vittime a configurare l’ipotesi di un unico autore che tuttavia non può essere esclusa in assoluto.”