Il fenomeno del mass murder: verso una nuova definizione: parte prima

da | Dic 19, 2022 | News

Il fenomeno del mass murder: verso una nuova definizione: parte prima

da | Dic 19, 2022 | News

di Fabrizio Mignacca, Psicologo, Psicoterapeuta, Criminologo

Per parlare di Mass Murder  innanzitutto bisogna definire il termine “compulsività”, giacchè tale istanza è spesso citata, ma mai propriamente definita. La compulsività è il comportamento (azione singola o multipla), che viene eseguito da un soggetto in modo macchinale e infrenabile, come sintomo di una varietà di disturbi del comportamento stesso (Dizionario Trecani, 2022).

La compulsività è spesso un elemento sommariamente definito, più o meno  consapevole al soggetto e come abbiamo detto, esso sottende al sintomo di una probabile patologia più ampia. Il modello di patologico della compulsività però potrebbe essere fuorviante giacché la stessa patologia è sintomo di vita: per dirla in altri termini, solo i morti non si ammalano.

Ad onor del vero, è altresì probabile che il comportamento compulsivo non indichi necessariamente un disturbo di vario tipo, ad esempio sociopatico, proprio quindi di una possibile criminogenesi o devianza: non tutte le spinte compulsive generano reato o devianza.

Alcuni comportamenti compulsivi sono ampiamente accettati all’interno della società in quanto sicuramente sintomo di una mancanza, ma  non pericolosi socialmente. La dimensione della compulsività, legata alla eventuale danno al sociale è fondamentale nella definizione di compulsività.

Quando parliamo di compulsività, non possiamo necessariamente riferirci ad un contesto di devianza  se non ci sono ricadute sociali rilevanti. Quando il peso della spinta compulsiva ricade nell’ambito sociale, allora possiamo parlare di spinta compulsiva e criminogenesi.

Una spinta compulsiva può essere quindi l’aspetto sintomatico di un quadro nevrotico, psicopatico, psicotico, ma non un movimento di criminogenesi. La diversità dell’aspetto sintomatico è da attribuirsi a quella che in psichiatria viene definito come livello di scissione dell’Io, o del grado di consapevolezza dell’azione e delle ripercussioni che essa genererà. D’altra parte ogni aspetto compulsivo è comunque un aspetto compensatorio rispetto ad un deficit di integrità dell’Io. Più l’azione dell’Io è deficitaria, più l’aspetto compensatorio sarà forte, complesso ed insorgente nella sua emergenza, più la spinta compulsiva potrebbe avere un effetto da un punto di vista sociale.

Partendo quindi dalla definizione di compulsività e dal livello di compensazione sintomatica di cui essa è forma all’interno del sistema di riequilibrazione omeostatico compiuto dall’Io, cerchiamo di definire quali sono le caratteriche che essa prende all’interno della fenomenologia dei mass murder.

Il fenomeno del mass murder viene identificato in ambiente anglosassone, ambiente che ha una forte tendenza all’organizzare secondo specifiche categorie ogni tipo di comportamento caratteriale immettendo nelle categorie diversi profili culturali, economici e storici, raggruppandoli molto empiricamente, senza che ci siano state prima delle ricerche scientifiche.

Alcune fonti tendono a far risalire il concetto di mass murder ad un presunto gigante nordico che che intorno alla seconda metà del IX secolo compì una strage tra la popolazione vichinga, ma il fenomeno viene propriamente definito per l’azione di Howard Unruh, ex militare, che il 5 settembre del 1949 fece una strage di persone, colpite apparentemente senza criterio in un breve lasso di tempo. L’evento fu denominato drammaticamente “walk of death”.

Il dizionario Inglese “Collins” definisce il Mass Murdering come “The deliberate illegal killing of a large number of people by a person or an organization.

In primo luogo si noti il tono completamente anglosassone della definizione che mette in risalto l’Illegal killing”, ovvero l’uccisione illegal un grande numero di persone d parte di un soggetto.

Va infatti ricordato che la cultura anglosassone, in molte sue forme considera il “Killing” legale, ovvero nella pena di morte.

La parte interessante invece è la considerazione che l’atto di mass murdering possa avvenire tramite l’azione di una persona (definizione classica) o da parte di una “organization”. Il termine organizzazione è molto più specifico al tremine “group”, ovvero indifferenziato gruppo di persone e si connota semanticamente, proprio per la sua natura organizzata, con un obiettivo specifico. Questa minuzia ci servirà in seguito.

Nel tempo sono stati sviluppati una serie di studi di tipo statistico sulle figure dei mass murder, un ammucchiamento di dati presunti, più o meno ricavati da aspetti fenomeologici di tipo psichiatrico, ma i tratti rilevati sono spesso comuni ad altre fenomelogie psichiatriche e non spiegano mai il vero funzionamento dinamico, ovvero lo sviluppo del livello compensatorio della compulsività, come fosse un tratto “specie-specifico” ovvero “che costituisce una specie”. Gli elementi psichiatrici di schizofrenia paranoide,  psicosi allucinatoria di tipo uditivo con deliri di grandezza o di persecuzione o gli elementi cosiddetti predittivi (l’abuso di sostanze e di alcool), la generica definizione di mass murders come vittime di gravissimi traumi durante l’infanzia non costituiscono tratti specifici della categoria, o pseudocategoria, “mass murders”.

Tali caratteristiche hanno una rilevanza talmente alta all’interno della gamma delle caratteristiche umane del soggetto normale o patologico che è come attaccare una spilletta in un pagliere e pensare che a 100 metri di distanza avrà la stessa visibilità di una pietra miliare.

La spasmodica necessità di trovare una quadra ad un comportamento omicidiario ha portato spesso ad altre sottocategorie fenomenologiche come la concettualizzazione di mass murders familiari, gli spree killers ed infine school shooters tra le tante (Safarik M., Ramsland K.,2019). Le categorie si differenzierebbero per particolari totalmente indefinite in base al comportamento manifesto omettendo invece una analisi della spinta compulsiva nella sua globalità. Questo rende tutto il discorso sicuramente vendibile, ma assai poco scientifico nel suo sviluppo dinamico, nella sua fenomenologia del divenire, nel movimento che porta dalla spinta compulsiva all’azione tanatologica.

Quando si parla quindi di spinta compulsiva e di azione tanatologica si cerca di fare luce appunto sulla sintomatologia dinamica della configurazione che il disagio porta.

Nessuno nasce serial killer o mass murder e serve a poco definire quali sono le caratteristiche che portano alla ricetta perfetta dell’assassino provetto. Il disagio ha sempre un’eziopatogenesi complessa e per definizione, insidiosa, per cui è difficile riuscire a srotolare il papiro della vita e prendere le presunte invarianti per inserirle all’interno di un quadro che spesso sembra necessario più di interesse pubblico, che allo studio sistematico della fenomenologia psichiatrica o sociale, tale da inserirlo in un quadro di malattia complessa o analisi differenziale.

Innanzitutto è importante riferirci alla definizione di “necromania” (Bruno F.,2000) , termine che ha sdoganato il comportamento omicidiario da quelle facili definizioni secondo cui è il numero dei cadaveri che definisce l’assassino. La necromania è la spinta tanatologica che motiva il gesto al far cessare la vita altrui in quanto spinta compulsiva e coattiva a ripetere.

Non è importante quanta gente uccidi in termini quantitativi, non è un giro al supermercato, ma la compulsività tanatologica, ovvero tendenza all’estroflessione della pulsione di morte freudiana attraverso la scissione proiettiva della componente autodistruttiva sull’altro, quasi sempre visto come elemento minaccioso generico. Quando si definisce “elemento minaccioso generico”, si tende innanzitutto a definire un criterio di omogeneità del soggetto che l’omicida si trova davanti, in termini di percezione della soggettività altrui. Il soggetto di fronte, la vittima, si spoglia delle caratteristiche soggettive e diventa oggetto del se dell’assassino, parte scissa su cui proiettare il proprio disagio ed in tale ottica va terminato. Non stiamo quindi parlando di persone, ma di figure disturbanti che rappresentano la malattia, il dolore, il patimento. A conferma di tale istanza dinamica si nota infatti la totale assenza di affettività nell’azione dell’omicida, la totale anaffettività dell’azione attraverso appunto l’estroflessione della componente emotiva sull’oggetto persona che gli capita lungo il cammino.

La stessa caratteristica viene notata spesso nell’acting out del soggetto psicotico, che per definizione è anaffettivo, ovvero agisce senza cognizione emozionale. La sua azione è quindi fredda, distaccata, assolutamente mirata ad un obiettivo che definiamo delirante, ma che è fondato su una lucida follia, frutto di un pensiero scisso. Il pensiero psicotico è talmente scisso che la rappresentazione che il soggetto ha di esso, si configura in allucinazioni spesso uditiva, altre volte visive attraverso proprio quel movimento proiettivo che la coscienza residua mette in atto alfine di salvaguardare l’incolumità personale.

L’azione invece del mass murder, apparentemente non risente del livello di proiezione di allucinazioni metafisiche, ma sembra avere una cognizione di pensiero che discrimini il reale dall’irreale.

La relazione oggettuale con la persona che incontra o che si trova di fronte al mass murder diventa oggetto disturbante diverso da se che deve essere eliminato compulsivamente. Questa proiezione reale è diversa dalla rappresentazione allucinatoria psicotica che si manifesta direttamente con le cosiddette voci o figure irreali. Anche in presenza di voci, molto spesso sembra più legato ad una necessità di far passare una presunta malattia in sede di condanna, che una fenomenologia legata ad una patologia schizofrenica. I resoconti dei mass murder sono sempre lucidi, non c’è mai la cosiddetta “insalata di parole” che indica un delirio destrutturato in cui gli elementi fantastici si mischiano con quelli reali.

È normale trovare tratti schizofrenici  (tratti e non patologia) in un omicida di massa o segni depressivi, dal momento che il modello di relazione oggettuale rispetto al disagio psichico è in linea di massima lo stesso (eliminare, proiettando la malattia all’esterno), ma diverge nel livello di consapevolezza del reale e nella modalità di scarica della responsabilità personale.

Sembra che nel mass murder sia conservata parte della consapevolezza della realtà e gli elementi irreali (senso di persecuzione, sentimento di pericolo costante) si configurino nell’abbattimento delle persone in cui egli proietta il proprio disagio.

La spinta compulsiva non si esaurisce finché il processo di proiezione non è esaurito.

Questo spiegherebbe  anche quello che gli anglo-sassoni definiscono fenomeno dello spree killer, fenomeno in cui il soggetto, in uno stato di delirio più simile ad uno stato psicopatico di una notevole entità, attivi la propria compulsione più e più volte in tempi diversi. Il disagio si attiverebbe finché la minaccia proiettata non cessa, ma lo stato di patologia non si esaurisce, ma riprende proprio perché legato ad una forma malata di proiezione del disagio stesso.

In termini puramente psichiatrici potremmo dire che lo spree killer è una forma di mass murdering che si esaurisce e poi riattiva fino a cessazione successiva in un aspetto ciclotimico.

È chiaro quindi che ci siano sia manifestazioni schizofreniche che depressive, tenendo bene conto che le manifestazioni in tal senso sono considerarsi estremamente diverse tra di loro costituendo due quadri patologici completamente diversi: i disturbi schizofrenici sono completamente diversi dai cosiddetti disturbi dell’umore (DSM-5, 2014).

Per quel che riguarda la presunta storia di vita travagliata, sembra chiaro che il passato traumatico sia rilevante in una grande fetta della popolazione mondiale e che fenomeni di bullismo siano molto più frequenti di quello che stimano i numeri, eppure tale evenienza non crea sempre psicopatici.

Anche in questo caso è normale che il soggetto psicopatico, ovvero che soffre di un disagio mentale, senta anche di poter essere stato vittima di altri. Esso potrebbe dipendere proprio da un quadro patologico di base che ne pregiudica la capacità relazionale e quindi lo getta in una relazione abusante-abusato che è il frutto sicuramente di un’azione reale e di una immaginativa. Per parlare poi del cosiddetto mondo interiore del trauma bisognerebbe fare riferimento a parte. Non può sfuggire però che la relazione tra vittima- carnefice è estremamente delicata e spesso, in quel tipo di reati prettamente psichiatrici, si connota di vari gradi di grigio in cui le posizioni possono essere estremamente sfumate.

Dunque per definire veramente l’azione di un mass murder non possiamo riferirci a categorie di tipo neo-scientifico, ovvero l’attribuzione generica del comportamento a quella o a questa classe, come fossero canestri per inquadrare il fenomeno, ne a classificazioni da librettistica da best sellers, ma ad un’analisi della spinta compulsiva attraverso la dinamica dell’azione in un quadro di parziale consapevolezza di intendere e volere, o consapevolezza residua,  definito secondo il livello di integrità dell’Io.

Ci troviamo quindi nel quadro dei disturbi di personalità, un mondo estremamente insidioso e difficile da inquadrare se non attraverso una doviziosa analisi delle componentistiche soggettive che agiscono da “tempesta perfetta”, ovvero da evento rarissimo e statisticamente non rilevante che però esiste in quanto espressione di una Gestalt di diverse componenti che si sono allineate secondo la legge dei grandi numeri.

I mass murder sono eccezioni anche nel campo della psicopatologia. Eventi unici e drammatici che colpiscono soprattutto la società industrializzata, ma che come vedremo, vengono generati  a tutte le latitudini e longitudini e quindi chiaramente espressione di un disagio psichiatrico, in particolare riferito perlopiù alla specifica classe di disturbi di personalità, che per quanto si possa definire classe complessa ed eterogenea, non può sfuggire l’impostazione puramente descrittiva e superficialmente sintomatica del soggetto malato.

Eppure a qualcosa ci dobbiamo raffrontare soprattutto in termini di formazione della fenomenologia della compulsività compensativa.

Tornando quindi alla definizione del dizionario Collins, che definisce il mass murder:  “The deliberate illegal killing of a large number of people by a person or an organization”, dobbiamo pensare che il fenomeno, per spinta compulsiva di tipo psichiatrico, tenda ad essere frequente atto di devianza attraverso forme diverse rispetto a quello che la letteratura criminologica ha considerato finora.

In particolare il termine an Organization, ci porta ad un contesto di gruppo, come prima esposto, costituito non da una azione disordinata ed incongruente, ma frutto di una lucida follia, attraverso la quale si esprime la fenomenologia compulsiva psichiatrica. Questo particolare aspetto verrà approfondito nella seconda parte e ci servirà, appunto nella ridefinizione dei canoni classici in cui inseriremo la definizione di assassino di massa.

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