Era la mattina dell’11 settembre 1958 quando la domestica di casa Fenaroli suonò puntuale alla porta del primo piano di via Monaci 21, a Roma, senza avere risposta. Si sedette e attese, fin quando la portiera Marisa le suggerì di chiamare col telefono a gettone il fratello della padrona di casa. Un paio d’ore dopo, una scala di corda si calava dal terzo piano, lo speleologo Marcello Chimenti vi scendeva, entrava dalla finestra aperta della chiostrina e in cucina trovava Maria Martirano in Fenaroli, strozzata, per terra. E’ l’inizio di uno dei più grandi gialli del ‘900 italiano, anzi a parere del sottoscritto e di Armando Palmegiani (insieme ci scrivemmo sopra “Omicidio a Piazza Bologna“) il più grande: per intreccio, personaggi, colpi di scena.
Il roccioso commissario Ugo Macera sospetta il marito. Il marito ha un alibi di ferro. Per terra, in camera da letto, undici polizze assicurative fanno pensare al delitto. I gioielli, che non mancano tutti. Una testimone, Reana (ah, che nomi!) che ha visto un cristone vestito in abito blu entrare e salutare nell’androne la vittima. A che ora? Alle 23.30. Ah, pensa Reana, guarda la signora che bel giovanotto che s’è trovata mentre il marito è a Milano! Altri testi vedono movimenti sospetti intorno al palazzo.
E poi il torbido passato della vittima, le difficoltà finanziarie del marito, un ragioniere che accusa tutti, e poi gli arresti e un elettrotecnico di 27 anni, Raoul Ghiani (grande e grosso, con due mani così) che nell’immaginario diventa il sicario. I gioielli mancanti che saltano fuori dove si era già guardato e riguardato. Già: la prima volta in Italia che mandante e sicario appaiono insieme. Il primo delitto della modernità, organizzato, secondo l’accusa, sul filo di auto veloci, aerei, telefonate trappola. Gli italiani rimasero stregati, ogni giorno lessero il giornale per anni. Fino alla sentenza del 1961: ergastolo per Raoul Ghiani, Giovanni Fenaroli e, in appello, 13 anni anche al povero Carlo Inzolia per aver fatto da tramite. 20.000 persone ad attendere la sentenza, intorno al tribunale. Ma era andata così?
Ogni volta che passo da via Monaci 21, entro. Mi pare di vederlo, l’uomo in blu. Il portone, le scale, la porta di casa. Tutto è restato al 1958. Con Armando corremmo su e giù per l’Italia, sgommando verso Malpensa, salendo su in Trentino per incontrare un ex agente segreto che sapeva cose, parlando con avvocati, sentendo la voce di Ghiani dall’altro capo di un telefono. Capimmo che la storia andava raccontata da capo. Lo facemmo.
Il delitto di via Monaci è ancora, per noi, di un fascino pazzesco. Mai più trovato un delitto del genere. Non si fanno più gli omicidi di una volta.