Lo psicoanalista Donald Winnicott per definire i sintomi leggeri di depressione che spesso vive la donna nei primi giorni dopo il parto conia il termine “Baby blues”.
Nel XIX secolo si parlava di “febbre da latte” riferendosi a un quadro clinico che includeva sintomi fisici come i cambiamenti ormonali, il possibile aumento della temperatura corporea, il seno gonfio, il fastidio dei punti di sutura. Per non parlare dell’andirivieni di parenti, a ragione contenti dell’evento ma decisamente poco accorti nei confronti di quelle emozioni contrastanti che invadono la mamma nei primi giorni dopo il parto.
Malinconia, generalmente tutto questo si chiama così.
Il parto è un evento molto importante e porta con sé disturbi psico-fisici alla neo-mamma i quali, se si risolvono entro circa un paio di settimane dal parto, vengono considerati fisiologici e prendono il nome di Baby blues. Questo evento richiede dei riadattamenti psicologici ed emotivi che si risolvono in poco tempo. Tutto ruota intorno alla nuova identitàdi mamma che la donna deve costruire e nella quale deve trovarsi a proprio agio. Il parto è un rito di passaggio.
Come si manifesta il baby blues?
Questo stato di malessere passeggero è caratterizzato da umore instabile, crisi di pianto, stanchezza, tristezza… Un vuoto che effettivamente c’è se si pensa allo “spazio lasciato dal nascituro”. Tuttavia, la piccola scossa di “terremoto” viene rapidamente seguita da assestamenti ed il processo, per quanto impegnativo, non altera la capacità della donna di prendersi cura del proprio bambino. E’ uno stato fisiologico che non deve spaventare. I rapidi processi di adattamento ormonale e psichico che la donna sperimenta nelle prime settimane dopo il parto sono naturali e altrettanto naturalmente tendono ad attenuarsi fino a scomparire. Più raramente invece persistono e possono generare stati depressivi più importanti fino a configurare il caso di depressione post parto. È necessario in questo caso monitorare eventuali manifestazioni che intuitivamente ci sembrano dissonanti con quanto appena descritto.
Come possiamo intervenire e cosa deve fare la neo-mamma?
Ancora possiamo permetterci di non pensare di rivolgersi ad uno specialista. Trattandosi di uno stato passeggero, l’importanza della vicinanza del partner e delle figure più significative sono un ottimo aiuto. Sarebbe ottimale effettuare con un po’ di anticipo la scelta dell’ambiente in cui si desidera partorire avendo cura di informarsi e perché no di andare a vedere fisicamente il posto.
Prepararsi all’evento in modo organizzato senza “corse all’ultimo secondo” e parlare delle proprie paure con lo specialista che segue tutta la gravidanza, sono piccole accortezze che eliminano i piccoli dubbi incidendo meno nello stato di tensione generale e di attesa che caratterizza qualsiasi mamma allo “scadere del tempo”. Le domande che possono sembrare di poco conto o il dire semplicemente di avere paura non devono essere argomenti tabù. Quando tutto ciò è possibile chiaramente e la gravidanza procede senza grandi scossoni. Ci si pensa poco, ma il benessere psicologico durante la gravidanza previene la comparsa di stati depressivi importanti.
E se la sofferenza non passa? Il vuoto ha un nome.
Quando lo stato psicofisico della mamma presenta invece maggiore complessità con un intensificarsi della malinconia dopo 4-6 settimane dal parto, siamo in presenza di quella generalmente viene definita depressione post partum. In questo caso è fondamentale fare ricorso allo specialista. La depressione può essere provocata da una combinazione di più fattori ed è difficile delinearne rigidamente i limiti.
Da una parte si ha la sensazione che etichettare possa in qualche modo togliere dignità alle esperienze di una donna che ha appena partorito, dall’altra il clinico necessita di punti di riferimento per intervenire. È una mera questione di calcolo costi/benefici. Si individua il problema, e si previene il peggio. In casi come questi si fa. A favore dell’etichetta possiamo dire che in molte esperienze di depressione post parto la paziente si è sentita sollevata dal sentire che la sua “sofferenza” avesse un nome. Tensione, panico, sensazione di non farcela, pensieri ossessivi e confusi, senso di solitudine e isolamento, tristezza senso di colpa…Tutto questo ha un nome.
Cosa fare?
È importante rivolgersi agli specialisti qualificati: psicoterapeuta e psichiatra. La rete di supporto, quella familiare e il partner sono anche in questo caso fondamentali. Non è esclusa la possibilità di inserire nei colloqui iniziali il proprio partner. Pazienza, supporto, il sapersi sostituire in quelle pratiche che una neo mamma si trova a dover fare generalmente con gioia e curiosità ma che ora, avvolta dal velo di tristezza e apatia sente di non aver la forza di fare. Ecco che quelli che nell’immaginario collettivo sono i ruoli della mamma e del papà devono essere rimodulati. La reciprocità, “dove non arrivi tu subentro io” del resto, dovrebbe essere alla base del rapporto di coppia.
Nella buona e nella cattiva sorte.