di Cosimo D’Oronzo
È il 17 novembre 2022 ed i giornali battono la notizia del ritrovamento dei cadaveri di due prostitute cinesi, Yan Rong Li e Xiuli Guo, al quartiere Prati di Roma, precisamente in via Riboty al numero 28, in un appartamento dove svolgevano la loro attività. Un quartiere di gente per bene, un quartiere tranquillo con molti studi professionali, nei pressi della Città Giudiziaria di Roma.
Non è però l’unico cadavere rinvenuto in quella mattinata a Roma. Poco distante, nello stesso quartiere, nei pressi della sede RAI, in un appartamento sito in via Durazzo, a poche ore di distanza, una donna transgender colombiana lancia l’allarme dopo aver trovato il corpo esanime di sua sorella, la sessantacinquenne Marta Castano Torres. Anche in questo caso si tratta di una prostituta.
Entrambe le azioni omicidiarie sono caratterizzate dalla presenza di ferite inferte con una o più armi da taglio che verranno successivamente accomunate ad una particolare tipologia di arma bianca: un coltello.
Stesso giorno, stesso quartiere, stessa tipologia di vittima, ferite simili. Impossibile non collegare gli omicidi. Impossibile non indagare nella stessa direzione. Ed è questo che fanno gli investigatori.
In meno di 48 ore la Squadra Mobile di Roma identifica, rintraccia ed arresta, alle ore 5.15 del 19 novembre, il sospettato degli omicidi.
Il nome è assai noto alle Forze dell’ordine e nelle ore successive all’arresto confesserà di aver commesso solo l’omicidio di via Riboty ma, come vedremo più avanti, i mezzi di prova raccolti lo inchiodano anche per il delitto di via Durazzo.
Si tratta di Giandavide De Pau un cinquantunenne romano.
Un soggetto con un curriculum criminale di tutto rispetto: droga, armi, lesioni, ricettazione. Spicca nelle sue attività criminali soprattutto l’estrema vicinanza a colui che viene indicato come il boss della camorra a Roma, Michele Senese, ma non come semplice conoscente, bensì come suo autista, un ruolo di estrema importanza e fiducia in quegli ambienti. Compare infatti nelle immagini, agli atti nell’inchiesta “Mondo di Mezzo”, di un incontro tra Senese e Massimo Carminati, quest’ultimo noto per essere stato legato alla famosa Banda della Magliana, ma soprattutto per essere balzato agli onori della cronaca nel 2014 nell’ambito dell’inchiesta “Mafia Capitale”.
De Pau è un uomo che sembra aver fatto della sopraffazione e della violenza il suo stile di vita.
Sopraffazione e violenza che metteva in atto in tutte le sue attività criminali, come ad esempio le estorsioni, alle quali era dedito.
Una violenza però non minimamente paragonabile a quella utilizzata negli omicidi della mattina del 17 novembre.
Secondo la ricostruzione degli investigatori, a seguito dell’acquisizione delle immagini delle videocamere di sorveglianza della zona e dei tabulati telefonici delle vittime, nonché del telefono in uso a De Pau, ritrovato sulla scena del crimine di via Riboty, quest’ultimo avrebbe compiuto prima l’omicidio delle due donne cinesi, per poi recarsi successivamente nell’appartamento di via Durazzo e compiere il terzo omicidio, quello della Castano Torres. All’interno del telefono di De Pau saranno ritrovati due video, nei quali risultano registrati i momenti della mattanza delle donne cinesi.
Al di là del movente che abbia scatenato l’inizio della furia omicidiaria, la stessa è proseguita in un’escalation di violenza alla quale De Pau non sembra essere riuscito a dare un freno.
È come se avesse sentito un improvviso impulso irrefrenabile di uccidere.
Ma come arriva un uomo, abituato a delinquere, a compiere un’azione omicidiaria così eclatante, non curandosi di portare via il suo telefono dalla scenda del crimine, non tenendo conto delle videocamere e commettendo tutta una sfilza di errori?
Per capire meglio cosa possa aver fatto accendere la miccia nella testa di De Pau, bisogna dare uno sguardo alla vita ed al passato di colui che viene indicato come il sanguinario killer delle prostitute di Roma.
Iniziando a scavare risulta che, oltre ad essere un assiduo frequentatore di prostitute, ha subito due ricoveri presso un ospedale psichiatrico di Montelupo Fiorentino, nel 2008 e nel 2011, dove pare gli furono diagnosticati un disturbo di personalità borderline ed un disturbo di personalità antisociale. Motivo per il quale sembra sia costretto ad assumere dei farmaci.
Ad accentuare questi disturbi di personalità l’uso smodato di droghe, in particolare una dipendenza da cocaina, e di grandi quantità di alcol.
Ma ancor più significativo, nel passato del presunto omicida, è un arresto nel 2006 a seguito di una tentata violenza sessuale ai danni di una donna brasiliana di 22 anni. Quest’ultima, per sfuggire a De Pau che per entrare in casa della stessa si finse un idraulico, si lanciò dal balcone procurandosi delle gravi fratture.
Insomma, gli omicidi di Prati non sono che l’ultimo tassello di un’inarrestabile sete di violenza che, probabilmente, De Pau riusciva a controllare sfogandosi nelle sue attività criminali e che, per chissà quale evento scatenante, non è riuscito più a tenere a bada, trasformandosi nel “killer disorganizzato” che uccide tre donne adoperando una inimmaginabile violenza.
Ma veniamo alla domanda: Giandavide De Pau può essere definito un Serial Killer? Sulla stampa ne sono state raccontate di ogni tipo.
Inizialmente c’è chi pensava che gli assassini potessero essere più di uno; che gli omicidi potessero essere legati al mondo della malavita organizzata (c’è chi ha scomodato la Mafia Cinese); che non si potrà definire Serial killer perché non c’è il periodo di raffreddamento emotivo, il così detto cooling off, tipico secondo alcuni di questa categoria; che forse è uno Spree killer; che è soltanto un signore con molti precedenti penali che ha dato sfogo alla sua indole violenta.
Diciamo che è stato detto tutto ed il contrario di tutto.
Ma invece di vestire i panni da “criminologi della domenica” andiamo per ordine e facciamo chiarezza.
La definizione “classica” afferma che un Serial Killer è “colui che compie tre o più omicidi in luoghi diversi e con un periodo di intervallo emotivo fra un omicidio e l’altro”.
Secondo questa definizione, De Pau non potrebbe mai essere definito un SK perché avrebbe compiuto tre omicidi ma in un lasso di tempo molto breve. La sua figura sarebbe da accomunare ad un’altra tipologia di assassino: lo Spree killer, ovvero “colui che uccide due o più vittime in luoghi diversi, ma contigui, e in uno spazio di tempo molto breve, in un unico evento omicidiario”.
L’identikit dello spree killer calzerebbe, eventualmente, a pennello alla figura di Giandavide De Pau in quanto, secondo quanto riportano Mastronardi e Palermo nel loro testo del 2021, edito da Giuffré, “Il profilo criminologico. Dalla scena del crimine ai profili socio-psicologici”, si tratterebbe di un maschio bianco adulto, narcisista, instabile, spinto da rabbia/vendetta, disorganizzato, a volte opportunista, spinto da un senso di rifiuto, incapace di controllare le proprie spinte emotive, che uccide per la volontà di uccidere vittime sia conosciute che occasionali, mediante l’utilizzo di armi da fuoco, da taglio o strangolandole, che non desidera essere catturato e che spesso si suicida dopo aver compiuto gli omicidi.
Oggettivamente sembra un profilo cucito quasi su misura per De Pau, se non fosse che bisogna tener conto di due punti importanti dal punto di vista scientifico.
Il primo è che queste classificazioni sono basate sugli studi effettuati, alla fine degli anni Settanta, dal Dipartimento di Scienze comportamentale del FBI. Furono svolti da Douglas e Ressler, due mostri sacri della criminologia investigativa, su un campione molto ridotto di individui, 36 assassini a movente sessuale che furono intervistati nelle prigioni americane in cui erano rinchiusi ma senza seguire un vero e proprio protocollo.
Sicuramente fu una pietra miliare nello studio di questi particolari tipi di crimini, ma la scienza e gli studi si evolvono e bisogna adeguarsi anche ai tempi.
Ragion per cui, venendo al secondo punto, c’è da ricordare che a seguito di un Simposio multidisciplinare dedicato all’omicidio seriale, svoltosi in Texas tra il 29 agosto ed il 2 settembre del 2005, a cui hanno partecipato 135 esperti, provenienti da dieci Paesi del Mondo differenti, è stata data una nuova definizione di Serial killer, tenendo conto degli studi pionieristici compiuti dall’FBI ma guardando anche a come si è evoluta la società e di conseguenza anche i crimini: “l’omicidio seriale è l’uccisione illegale di due o più vittime da parte di uno stesso aggressore (o più aggressori) in eventi separati”.
Si può notare come la definizione comprenda un numero molto più ampio di soggetti in quanto, come spiega Ruben De Luca, esperto di Serial Killer, il termine uccisione illegale comprende tutti gli omicidi commessi da soggetti sprovvisti di un’autorizzazione governativa; il numero di vittime scende da due a tre e non è necessario stabilire se siano conosciute o sconosciute all’assassino; l’uso del termine eventi separati che, non specificando l’intervallo congruo per poter parlare di SK, annulla tutte le problematiche relative alle definizioni precedenti. Possono quindi trascorrere poche ore o anni interi tra un’azione omicidiaria e la successiva.
Nel citato Simposio del 2005, gli esperti, si sono trovati d’accordo sul fatto che non esiste una singola causa che provoca la formazione di un assassino seriale ma ci sono più fattori di tipo biologico, sociale, psicologico.
Esistono dei tratti comuni come sensazioni forti, mancanza di rimorso, impulsività, bisogno di controllo, comportamento predatorio che, come scrive De Luca, sono riconducibili al Disturbo Antisociale di Personalità, la così detta psicopatia. Trovare il motivo della serie di omicidi è molto difficile e molto spesso poco d’aiuto per identificare e catturare l’assassino, perché possono essere diversi, così come possono evolversi e cambiare all’interno della stessa serie di omicidi. Il serial killer uccide perché vuole farlo, ad eccezione di coloro i quali soffrono di un grave disturbo mentale. Anche chi compie omicidi all’interno di organizzazioni criminali per trarne benefici economici o di altro genere, rientra nella nuova definizione del 2005.
Indipendentemente dal movente il SK sceglie le sue vittime basandosi sulla disponibilità, vulnerabilità e desiderabilità. Con molta probabilità per Giandavide De Pau, tutto questo, era rappresentato dalle prostitute che era solito frequentare che, come ben noto, statisticamente sono una categoria ad alto rischio nell’ambito dei crimini violenti.
Alla luce di quanto sopra, soprattutto, tenendo conto che il procedimento ai danni di De Pau è ancora nella fase delle indagini preliminari e che deve essere ritenuto solo indagato e non colpevole finché non saranno dimostrati tutti gli addebiti a suo carico, sarà ritenuto capace di intendere e di volere e sarà eventualmente condannato in via definitiva nei tre gradi di giudizio, potrà, solo a quel punto, essere classificato come un Serial killer, nonostante le non ancora chiare motivazioni che hanno dato il via alla striscia di sangue e che saranno probabilmente chiarite in seguito.
Chi si aspettava un serial killer alla Buffalo Bill probabilmente rimarrà deluso perché De Pau ha un volto non proprio da villain cinematografico o almeno non come l’immaginario collettivo, abituato a guardare Criminal Minds in TV, si sarebbe aspettato. Non rappresenta il “mostro” che associamo a crimini così efferati e che ci fa sentire più sicuri perché molto lontano da come immaginiamo noi stessi.
La vita reale e gli studi degli esperti però, con buona pace dei criminologi da salotto televisivo, ci dicono tutt’altro. Il volto del male ed il male stesso sono molto più comuni e diffusi di quanto si possa pensare.