Fould e le impronte digitali

da | Giu 8, 2021 | News

Fould e le impronte digitali

da | Giu 8, 2021 | News

In un precedente articolo abbiamo parlato di Herschel e del primo utilizzo delle impronte digitali come metodo identificativo, che utilizzò in India per identificare al momento del ritiro della pensione i sudditi della Corona.

Spostiamoci, sempre nello stesso periodo, ad est ed arriviamo in Giappone.

Siamo nel 1880 ed un medico scozzese, il dr. Henry Faulds, che insegnava fisiologia all’Università di Tokio, fa una strana scoperta:

“Osservai alcuni cocci di argilla preistorici in Giappone e la mia attenzione fu attirata da certe impronte di dita che dovevano essersi prodotte quando l’argilla era ancora umida. Un confronto tra queste impronte e altre prodotte recentemente mi ha spinto a studiare il problema in generale. Il disegno delle linee della pelle non cambia per tutto il corso della vita e perciò può servire ad identificare meglio della fotografia”.

Probabilmente, come fu per Herschel, l’idea la prese dai commercianti cinesi che facevano scambi con quelli giapponesi, come parzialmente e con difficoltà ammise successivamente: Faulds non volle mai spiegare come mai lo studio di cocci di argilla impressi lo avesse portato a determinare con certezza la non modificabilità delle impronte digitali. Sicuramente era a conoscenza di una particolare consuetudine. A Tokio venivano utilizzate le locande come “fermo posta“: al momento del ritiro della corrispondenza i locandieri chiedevano di firmare una quietanza apponendo in calce timbro e la firma. A chi non era provvisto di timbro facevano porre l’impronta del pollice inchiostrato.

Faulds iniziò a fare uno studio sistematico delle impronte. Un giorno accadde che vicino alla sua abitazione un ladro si arrampicò su un muro intonacato di bianco e le sue mani imbrattate di fuliggine lasciarono impronte particolarmente definite. Poco dopo venne arrestato un individuo come sospetto del furto. Faulds chiese alla polizia giapponese di poter acquisire le impronte del ladro al fine di compararle con quelle rinvenute sul muro. La comparazione fu negativa, non era lui il ladro. A riprova dell’efficacia del metodo, pochi giorni dopo venne arrestato un secondo soggetto, Faulds accertò in questo caso la compatibilità con le impronte lasciate e l’individuo confessò.

Il caso fece molto scalpore e pochissimo tempo dopo Faulds venne chiamato dalla polizia per un nuovo furto che, questa volta, comprendeva anche un bicchiere con sopra delle impronte digitali appena visibili.

Questo evento viene tramandato dalle cronache criminalistiche in diversi modi, c’è chi afferma che il bicchiere fosse posto davanti ad un portagioie di una nobile giapponese e chi invece con “assoluta sicurezza” afferma che il bicchiere venne usato da un infermiere per bere illecitamente dello spirito in ospedale.

In fatto preciso è poco importante, fatto sta che Faulds accertò a chi appartenevano le impronte digitali presenti sul bicchiere confrontandole con quelle della sua “collezione” lasciate da amici, colleghi e conoscenti.

Con questo pose due pietre importanti per il futuro della criminalistica: le impronte digitali vengono lasciate anche da chi ha le mani pulite e  possono essere utilizzate per l’identificazione dell’autore di un reato.

Faulds, avendo compreso la grande importanza della sua scoperta, scrisse alla rivista inglese Nature il 28 ottobre 1880:

Sul luogo del delitto si trovano impronte digitali, questo può portare alla scoperta del colpevole. Io l’ho già sperimentato praticamente in due casi. Nella prassi medico-legale si potranno trovare anche altre applicazioni delle impronte, quando per esempio su un cadavere smembrato si trovano soltanto le mani. Se le impronte digitali si conoscono già in precedenza, hanno certamente maggiore forza dimostrativa delle solite voglie materne dei romanzacci da quattro soldi. Si potrebbero rilevare le impronte digitali di tutti i delinquenti, dopo la condanna, e tenerle raccolte.”

Questa lettera scatenò una guerra epistolare tra Faulds ed Herschel, che all’epoca era tornato in Inghilterra dopo aver superato una lunga malattia. Una guerra che non risparmiò colpi, lettere giunte a riviste ed addirittura al Capo di Stato. Lo stesso Faulds scrisse a Darwin, suo lontano parente, per averne l’appoggio senza successo. La stessa polizia inglese, come ebbe modo di sapere, lo considerava un ciarlatano.

In seguito la storia diede ragione a tutti e due, Herschel viene ricordato come scopritore dell’utilizzo delle impronte quale metodo identificativo e Faulds per il loro utilizzo a livello giudiziario.

Entrambi ebbero le loro intuizioni, non ammettendolo mai completamente, osservando i mercanti cinesi… a questo punto chi sono stati i veri scopritori della dattiloscopia come metodo identificativo?

La storia non è ciò che è successo. La storia è solo quello che gli storici ci dicono.

(Julian Barnes)

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