Come si affronta la scena del crimine in un cold case?

da | Mag 8, 2021 | News

Come si affronta la scena del crimine in un cold case?

da | Mag 8, 2021 | News

Fronteggiare un cold case significa affrontare una lotta con armi inferiori al nemico. Alle volte è così. Devi lavorare d’archivio, cercare nessi sfuggiti decenni prima, ricollegare eventi che non sono stati messi in rapporto tra loro, ma non puoi usare le tecnologie di oggi. Certe volte davvero non puoi farlo, nè chiederlo. Perché sei un giornalista, non un giudice. Allora, come affrontare la scena del crimine di un omicidio di trent’anni fa? Che tracce puoi trovare, cosa puoi capire?

La genetica non è tutto, nell’indagine. Non è che senza di lei non si fa nulla. Fino a vent’anni fa fior di delitti sono stati risolti da investigatori che sapevano la metà di quel che oggi sappiamo in termini di criminalistica. Eppure li hanno risolti lo stesso. Come? Con le capacità di indagine. Con l’analisi, le inferenze. Prendiamo un caso di tanti, tanti anni fa: l’assassinio del Presidente degli Stati Uniti John Kennedy, avvenuto a Dallas (Texas) il 22 novembre 1963.

Kennedy viene colpito da due proiettili alla testa mentre con la sua limousine presidenziale sfila per le strade della città (nella foto sotto). Sono le 12,32. Un colpo a vuoto, due a bersaglio. Chi è stato a ucciderlo in diretta? E da dove sono partiti i colpi? La polizia punta sul Texas School Book Depository, a orecchio gli spari sono partiti da lì. Qualcun altro suggerisce invece una collinetta erbosa nell’ampia Dealey Plaza dove è avvenuto il delitto.

 

 

Ma non ci sono bossoli sulla collinetta, dei poliziotti che accorsero subito non videro nessuno allontanarsi da lì e la zona era troppo al livello strada per non rischiare di essere visti o che qualcuno arrivasse per riprendere l’auto nel parcheggio retrostante. Nel Depository viene invece ritrovato un fucile Mannlicher Carcano che la perizia balistica dimostrerà essere quello che ha esploso i colpi. Sul fucile, un’impronta dell’uomo che si è allontanato di fretta dall’edificio dopo gli spari: un dipendente, Lee Harvey Oswald. Ma allora perché tanti dubbi sul fatto che abbia sparato lui e lui solo?

Perché ci si chiede come abbia fatto Oswald a esplodere 3 colpi in 8 secondi e mezzo, con un fucile della Prima Guerra Mondiale. Da quella distanza. E perché dall’unica ripresa video accettabile dell’omicidio (quella del sarto Abraham Zapruder) sembra che Kennedy sia stato colpito almeno una volta dal davanti (quindi dalla collinetta) e non solo da dietro (dal Depository). Due assassini? Un complotto, dunque?

E invece no. La limousine andava a 18 km l’ora, era quasi ferma. Oswald (nella foto in basso, dopo l’arresto) aveva fatto il tiratore scelto nei Marines. Il fucile era vecchio ma in buone condizioni e aveva un’ottica montata sopra: questo facilitava il tiro, e il bersaglio si trovava a 60-80 metri, una distanza che un buon tiratore può ritenere adeguata per fare centro. La personalità tormentata di Oswald ne giustificava la scelta di uccidere il Presidente per sentirsi qualcuno in faccia al mondo; la sua adesione al Partito Comunista era totale e incondizionata, parossistica. Ci sono prove che abbia acquistato lui il fucile. E tutto questo, come vedete, senza toccare il Dna!

 

 

E qui non dico delle considerazioni testimoniali, logistiche e cronologiche che portano a confermare questa pista e lasciar perdere il complotto. I fautori di quest’ultimo, però, insistono molto sulla curiosa traiettoria che uno dei proiettili ha compiuto all’interno della limousine, colpendo prima Kennedy e poi il Governatore del Texas Connally che gli siedeva davanti. E rimanendo, in tutto questo, integro. Molto particolare, certo. Ma qui arriva, a completare il quadro, la balistica terminale di oggi, che con quel proiettile e quella traiettoria, calcolando distanze e densità dei bersagli ha dimostrato che…

…ma di questo parleremo nel prossimo webinar Nerocrime, “Cold case”, in programma il 21 e 22 maggio prossimi.

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